Raccontare o non raccontare? Il dilemma etico delle serie true crime

Il 19 settembre 2024 è stata rilasciata sulla piattaforma di streaming mondiale Netflix una serie TV di genere true crime che ha riscosso molto successo e altrettante critiche: stiamo parlando del secondo capitolo della serie antologica Monster, scritta da Ryan Murphy e Ian Brennan e incentrata sulla storia realmente accaduta di Lyle ed Erik Menendez, che nel momento in cui viene realizzato questo articolo si trova al primo posto della classifica dei contenuti più visti sia negli USA che in Italia.

La sua uscita, com’era già avvenuto per la prima stagione di Monster, basata sulla storia del serial killer Jeffrey Dahmer, ha risollevato una questione etica spinosa, che ciclicamente diventa oggetto di discussione da parte del pubblico: è giusto creare delle serie TV fruibili da tutti basate su storie vere così agghiaccianti? Non c’è il rischio di trasformare la sofferenza di persone reali in intrattenimento, rendendo attraenti i carnefici? 
Ma andiamo con ordine. Monsters: The Lyle and Erik Menendez Story racconta dei fratelli Menendez, condannati all’ergastolo nel 1996 per il duplice omicidio dei loro genitori, José e Kitty Menendez. Durante il processo emersero due versioni contrastanti sul movente dell’omicidio: i due assassini furono accusati di aver ucciso i genitori con lo scopo di ereditare un’enorme quantità di denaro, mentre i fratelli raccontarono di aver subito per anni abusi psicologici, fisici e sessuali da parte di José, con il silenzio, se non complicità, della madre. 
La serie non ha la pretesa di fornire la verità, ma al contrario mostra la storia da diverse prospettive, lasciando decidere allo spettatore quale sia la più plausibile. Tuttavia, Murphy e Brennan sono stati accusati di aver reso glamour le figure dei due fratelli, interpretati dagli affascinanti Nicholas Alexander Chavez e Cooper Koch.
Inoltre, lo stesso Erik Menendez ha mosso un’aspra critica contro gli ideatori della serie, colpevoli secondo lui di aver creato una narrazione inaccurata e offensiva del suo vissuto traumatico.

Rimanendo nell’ambito delle serie create da Murphy e Brennan, anche la già citata Monster: The Jeffrey Dahmer Story, del 2022, provocò reazioni contrastanti da parte degli spettatori e fu criticata duramente da alcuni familiari delle vittime del mostro di Milwaukee. In particolare, Eric Perry, cugino di Errol Lindsey, assassinato da Dahmer nel 1991, si espresse così in merito alla serie TV: 

Vuol dire rivangare il trauma ancora e ancora, e a che pro? Di quanti film/serie/documentari abbiamo bisogno?

Mentre Shirley Hughes, madre di Tony Hughes, ucciso nello stesso anno di Lindsey, rilasciò un’intervista al The Guardian, pronunciando questa frase:

“Non capisco come possano usare i nostri nomi e mettere fuori roba del genere.”

Spostandoci in Italia, è impossibile non citare un prodotto televisivo che ha creato dibattiti sui social e sui giornali per settimane: Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, una docuserie Netflix dedicata all’omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata senza vita circa tre mesi dopo. Il documentario è stato accusato di aver seguito un copione innocentista nei confronti di Massimo Bossetti, identificato nel 2014 grazie al Dna e condannato all’ergastolo per il delitto. L’uomo infatti si mostra in lacrime davanti alle telecamere, senza una vera controparte, mentre vengono messe in dubbio le prove che hanno portato al suo arresto e alla sua condanna. In tutto questo, il ricordo della giovane vittima rimane sullo sfondo.
I genitori di Yara Gambirasio e loro i legali difensori hanno scelto di non prendere parte al documentario ed è notizia di pochi giorni fa la loro decisione di presentare un esposto al garante della Privacy per denunciare la diffusione, attraverso la docuserie, di alcuni audio inviati alla figlia negli angoscianti giorni della sua scomparsa.

Più di recente, la piattaforma streaming Disney+ ha annunciato l’uscita di Avetrana – Qui non è Hollywood, miniserie dedicata a un caso di cronaca altrettanto terribile e che, già all’epoca dei fatti, fu raccontato con morbosità dai media. Questa volta, le polemiche si sono sollevate ancor prima del debutto della serie, previsto per il 25 ottobre. Infatti, la locandina diffusa per promuovere la miniserie è stata considerata da molti più adatta per una storia comica che per un racconto incentrato sull’assassinio di una ragazza di soli quindici anni, Sarah Scazzi

Come abbiamo visto, dunque, le serie TV appartenenti al genere true crime e la loro crescente popolarità sono un fenomeno controverso. Infatti, se da un lato rischiano di puntare i riflettori su chi ha commesso dei crimini atroci, spettacolarizzando il dolore di vittime e familiari, è pur vero che esse possono diventare uno strumento per portare alla luce tematiche di cui non si parla abbastanza, come gli abusi sui minori nella storia dei fratelli Menendez e l’indifferenza e il razzismo della polizia statunitense emersi in seguito ai numerosi omicidi compiuti da Dahmer. Inoltre, a distanza di tanto tempo, potrebbero avere la funzione di diffondere il ricordo delle vittime, spesso velocemente dimenticate dopo i processi ai loro carnefici. 
Esiste una prospettiva più giusta delle altre? Probabilmente no, poiché, come in ogni dilemma etico, è impossibile fornire una risposta lineare e definitiva.

Ilaria Vicentini

Fonti: https://www.wired.it/article/jeffrey-dahmer-netflix-serie-reazioni-famiglie-vittime/
https://tg24.sky.it/spettacolo/serie-tv/2024/09/25/monsters-ryan-murphy
https://www.fanpage.it/spettacolo/serie-tv/la-madre-di-una-delle-vittime-sulla-serie-jeffrey-dahmer-tutto-falso-la-ribellione-dei-familiari/
https://www.fanpage.it/spettacolo/interviste/yara-gambirasio-la-famiglia-contro-la-serie-netflix-audio-diffusi-senza-autorizzazione-privacy-violata/

Crediti foto in evidenza: https://www.vanityfair.it/article/monsters-vera-storia-lyle-erik-menedez-serie-tv-netflix

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