Il 4 novembre a Parigi si è riaperta una ferita profonda nel cuore della Francia, ancora scossa da una vicenda che sembra non trovare risposte definitive. È infatti iniziato il secondo processo nell’ambito dell’omicidio di Samuel Paty, avvenuto il 16 ottobre 2020. Professore di storia e geografia alla scuola media di Conflans-Sainte-Honorine, Paty era stato accoltellato e decapitato da Abdoullakh Anzorov, un ragazzo di 18 anni radicale islamico, ucciso poi poco dopo dalla polizia.
Ma come si è arrivati a un gesto così violento? Tutto era iniziato dal racconto di una studentessa di Paty al padre; gli aveva detto che un giorno il professore aveva mostrato delle immagini di Maometto nudo in classe, obbligando tutti gli studenti musulmani a lasciare l’aula. Il padre della ragazza, di origine marocchina, spinto dall’indignazione per l’accaduto, si era scagliato contro il professore pubblicando diversi video su Facebook in cui lo aveva accusato di essere islamofobo e di aver cercato di diffondere “immagini pornografiche” a lezione.
Contattò inoltre la scuola e la polizia cercando di farlo licenziare, ma il resto venne da sé; i video divennero virali sui social e innescarono una campagna d’odio contro il professore da parte di ambienti islamici radicali. Abdoullakh Anzorov, un islamista russo di origine cecena di 18 anni, che si era radicalizzato in Normandia, approfittò dell’occasione per entrare in azione e punire chi aveva disonorato il profeta Maometto. Pagò due studenti affinché gli fornissero informazioni su Paty e lo attese fuori dalla scuola, dove poi lo uccise.

Solo nel 2021 si è scoperta una parte della verità: la studentessa nella sua testimonianza ha confessato che tutto quello che aveva raccontato al padre non era vero. Il giorno in cui il professore avrebbe mostrato le caricature su Maometto lei non era presente a lezione (fatto confermato anche dai compagni di classe), perché aveva da tempo problemi disciplinari ed era stata allontanata dal corso proprio per questo motivo. Accusata di calunnia, insieme ad altri cinque studenti ha preso parte al primo processo dell’omicidio. È stata ritenuta colpevole di aver formulato accuse false nei confronti di Paty ed è stata condannata a 18 mesi di carcere, con sospensione della pena per due anni. Gli altri studenti sono stati ritenuti colpevoli del reato di associazione a delinquere per preparare atti di violenza aggravata, avendo fornito all’assassino informazioni sull’identità e la posizione del professore.
Nei giorni successivi all’attentato vennero organizzate grandi manifestazioni pacifiche in tutta la Francia, a cui parteciparono migliaia di persone. Macron approfittò del momento per far approvare una legge contro il “separatismo religioso”, necessaria, secondo il presidente, a combattere l’islam radicale. Questa legge obbliga tutte le associazioni a rispettare i “valori repubblicani” francesi, e a dichiarare ciascuna donazione ricevuta sopra i 10mila euro, per tracciare eventuali fondi provenienti da organizzazioni religiose di paesi come Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Non sono mancate le proteste da parte della comunità musulmana, in patria ma non solo; Macron è stato infatti accusato di aver sviluppato un discorso anti-islamico e di aver diffuso odio verso i musulmani, anziché combattere realmente l’estremismo religioso.

Il 4 novembre di quest’anno è iniziato il secondo processo sull’omicidio Paty, incentrato sugli otto adulti accusati di aver contribuito alla campagna d’odio che ha innescato il gesto estremo di Anzorov. Due persone vicine all’assassino sono accusate di essere state a conoscenza del piano e di aver partecipato attivamente all’omicidio aiutando il ragazzo a reperire un coltello a Rouen; rischiano entrambi l’ergastolo. Le altre sei invece sono accusate di partecipazione a un’associazione criminale terroristica, e rischiano fino a trent’anni di reclusione.
Il processo ha mostrato di essere divisivo nell’opinione pubblica, tra chi pensa che l’estremismo islamico stia sempre prendendo più spazio all’interno del paese e che non sia contrastato abbastanza dallo Stato, e chi rivendica invece la differenza sostanziale tra il terrorismo religioso (fomentato da una minoranza) e la totalità dei suoi credenti (molto più numerosi). Il tema si lega soprattutto alla tradizione dell’identità laica della Francia, molto sentita dai suoi cittadini, che negli ultimi anni è diventata sempre più un terreno di scontro tra diverse fazioni.

La questione ha diviso anche chi è coinvolto direttamente nel processo Paty. Le due sorelle del professore, Mickaëlle e Gaëlle, stanno infatti seguendo le udienze sedute a due tavoli separati. La prima, la figura più mediatica della famiglia e anche la più politicizzata, ha ammesso che “questa tragedia ha distrutto la nostra famiglia, non abbiamo affrontato le cose allo stesso modo”. Ha inoltre pubblicato un libro, “Le Cours de monsieur Paty”, per denunciare la “codardia” della società francese di fronte al fanatismo islamico. Dall’altra parte Gaëlle, la sorella maggiore, ha dichiarato: “Abbiamo il dovere nei confronti di Samuel di non cedere ai sostenitori della ripugnante strumentalizzazione politica. È dalla giustizia che mi aspetto risposte, il resto è solo sterile agitazione. Continuerò a sostenere i valori umanisti che mi guidano, per mostrarmi degna della memoria di Samuel.”
Al termine del processo otterremo una verità giudiziaria, ma non è detto che riesca a rispondere alle domande più profonde sollevate da questo caso. Sembra che per quelle servirà ancora del tempo; la pancia del paese le sta ancora digerendo.
Fabrizio Mogni
