Il Cottolengo: tra mito e realtà

In via San Giuseppe Benedetto Cottolengo numero 9, a Torino, nel quartiere Valdocco, si trova la struttura che dà il nome alla via: l’ospedale Cottolengo, oggi conosciuto come Piccola Casa della Divina Provvidenza.

Struttura e via si chiamano così per via di san Giuseppe Cottolengo, il fondatore di quello che ancora oggi è un ospedale, di proprietà e gestito dalla Chiesa, dove vengono ricoverate persone con disabilità sia mentali che fisiche, anziani e malati.

Ma, in realtà, tutti conoscono il nome del Cottolengo per un altro motivo: è diventato famoso a causa di una storia ben più inquietante. Si diceva infatti che qui venissero nascosti i cosiddetti “mostri”, ovvero uomini e donne gravemente deformati o pazzi. Le voci parlano di uomini con teste di cavallo, con le zanne, con la coda, uomini con sei braccia che sdraiati a terra parevano quasi dei granchi, alcuni addirittura somiglianti a centauri. Questi cosiddetti “mostri” sarebbero stati nascosti alla vista: si trovavano nei corridoi più interni dell’istituto, nei quali l’accesso era consentito soltanto a pochissime suore e ai medici.

Alcuni visitatori dicono di aver sentito urla disumane provenire da lì, altri dicono anche di aver intravisto, dopo essersi spinti nei corridoi più reconditi, attraverso le porte lasciate semiaperte dalle suore, alcuni di questi mostri. Si dice addirittura che una delle principesse della casa Savoia avesse partorito un figlio con la testa a forma di cavallo, che sarebbe stato dato per morto, ma che in realtà era stato nascosto proprio qui. A causa di queste leggende il Cottolengo è sempre stato considerato un “manicomio”. Nella realtà, si tratta principalmente di leggende che circolavano tra la gente e soprattutto ci dicono molto dei pregiudizi della società riguardo a disabilità mentali e fisiche.

Circolavano leggende anche riguardo a San Giuseppe Cottolengo e alla sua fede: ad esempio, si racconta che San Giuseppe Cottolengo, allora sacerdote, assistette impotente alla morte di una donna incinta che non trovò assistenza negli ospedali di Torino a causa di pregiudizi sociali e mancanza di strutture adeguate. Questo evento lo avrebbe spinto a fondare un luogo dove chiunque, senza distinzione di condizione, potesse trovare accoglienza.

Riguardo al Cottolengo scrisse anche Italo Calvino, ne “La giornata di uno scrutatore”, un romanzo breve in cui Amerigo Ormea si ritrova per una giornata a fare da scrutatore all’interno della struttura, che è quasi come una piccola città isolata dal mondo esterno. Qui, Amerigo, che è l’alter ego di Calvino, entra in contatto e osserva da vicino i pazienti del Cottolengo, avviando una riflessione sulla condizione e sofferenza umana. Al Cottolengo Amerigo si trova di fronte a una realtà che sfugge a logica e razionalità, e che si basa sulla compassione e sulla fede. Amerigo stesso, dopo questa giornata, si ritrova cambiato: convinto della possibilità di applicare la razionalità in ogni campo della vita, qui si trova di fronte a qualcosa che non è razionale, che fugge alle logiche, e che necessita di altri mezzi per essere compreso e accettato.

Che il Cottolengo, nel tempo, abbia fatto parlare di sé è poco ma sicuro. Le leggende e le voci che circolano su determinati luoghi vanno sempre contestualizzate nel periodo in cui si diffondono; in questo caso, la realtà è ben diversa da quello che si dice.

Laura Marchese

Fonte immagine in evidenza: https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Piccola_Casa_della_Divina_Provvidenza_(Turin)#/media/File:3220TorinoCottolengo.jpg

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