L’ennesimo fallimento nella sfida alla regolamentazione climatica

L’ennesimo freno tirato di fronte al tentativo di regolamentazione climatica, l’ennesimo fallimento diplomatico a pochi giorni dalla fine della Cop29 di Baku. La quinta sessione del Comitato intergovernativo di negoziazione delle Nazioni Unite (Inc-5) per la redazione di un trattato globale sulla plastica, tenutasi a Busan (Corea del Sud) dal 25 novembre al 1° dicembre, è finita senza che si trovasse un’intesa tra i partecipanti. L’obiettivo dell’incontro era raggiungere un accordo per la creazione di uno strumento globale per affrontare l’inquinamento da plastica, ma è stato rimandato a un nuovo appuntamento nel 2025 (con data e luogo ancora da definirsi).

Crediti: The Independent https://www.independent.co.uk/climate-change/news/plastics-treaty-pollution-un-waste-busan-b2654494.html

Le cause dell’insuccesso dell’incontro risiedono in divergenze e conflitti comuni a ogni accordo di questo tipo, di cui la Cop29 ne è stata solo l’ultimo esempio. Il mondo è ormai da tempo diviso in tre blocchi, più o meno uniti: una fetta è occupata dall’Occidente, in primis gli Stati Uniti, che sulla carta mostra maggiore fermezza e volontà di perseguire obiettivi climatici ambiziosi, ma che in pratica non si espone come vorrebbe a causa delle forti pressioni interne e internazionali (lobby, economia e guerra restano i principali attori). L’attesa e i timori dell’imminente insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca sono palpabili, e in questo periodo giocano un grosso ruolo nell’arena internazionale.

Crediti: Unep.org https://www.unep.org/news-and-stories/press-release/road-busan-clear-negotiations-global-plastics-treaty-close-ottawa

Il secondo gruppo è formato da una costellazione di stati medio-piccoli, facenti parte del cosiddetto Sud del mondo. Sono loro le vittime dirette dei cambiamenti climatici, e non solo del futuro, ma del presente; per ovvie ragioni sono coloro che spingono per ottenere dei risultati urgenti e necessari alla loro stessa sopravvivenza. Storicamente sfruttati a vantaggio del mondo industrializzato, si aspettano risarcimenti economici e morali, una richiesta che non trova una risposta positiva dall’altro lato del tavolo.

L’ultima Cop in Azerbaijan ne è stata la conferma: l’accordo raggiunto per il finanziamento di 300 miliardi annui per favorire la transizione e l’adattamento ai cambiamenti climatici da parte dei paesi ricchi non rappresenta neanche la metà della cifra necessaria a questa sfida colossale. 1300 miliardi all’anno, questa sarebbe la cifra che corrisponderebbe al loro bisogno di finanziamenti esterni, come stimato dagli esperti commissionati dalle Nazioni Unite, Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern.

Nonostante l’emergenza sia già in atto e abbia conseguenze immediate e reali, questo gruppo non ha la forza negoziale che hanno le grandi potenze mondiali, il che le costringe a cercare di fare leva attraverso la pressione mediatica, con il supporto delle Ong e dellopinione pubblica, generalmente schierata dalla loro parte. È una lotta impari, che senza l’appoggio dell’Unione Europea e degli Stati Uniti rende impossibile il raggiungimento della giustizia climatica.

Il terzo blocco è unito solamente da due principali interessi: quello economico e quello geopolitico. Ne fanno infatti parte tutti quei paesi che sono ancora strettamente legati ai combustibili fossili, e che non hanno nessuna intenzione di affrontare la transizione energetica che la comunità internazionale richiede da anni. Il Medio Oriente in prima linea (Arabia Saudita e Kuwait hanno contribuito a evitare il raggiungimento di un accordo a Busan) insieme alla Russia e alla Cina. I produttori di petrolio sono riusciti anche a Busan a far deragliare i negoziati, ostacolando il dialogo e facendo ostruzionismo su numerosi punti del trattato, obbligando il resto dei partecipanti a rinviare l’accordo al prossimo anno.

Crediti: Esgnews.com https://esgnews.com/it/saudi-arabia-launches-first-voluntary-carbon-credit-exchange-platform-cop29/

Come già denunciato da diverse Ong, la presenza di numerose delegazioni di lobbisti dell’industria petrolchimica rappresenta un chiaro e pericoloso conflitto di interessi all’interno di un processo negoziale che ha conseguenze globali, di cui beneficiano direttamente attraverso le loro aziende.

Nessuno dice che la transizione e il cambiamento sia privo di costi, anzi. Non parliamo solo di costi economici: è innegabile che il clima stia trasformando radicalmente il nostro mondo sociale, accelerando dinamiche già presenti, come l’immigrazione, il sovrappopolamento delle città e le crisi idriche, solo per citarne alcuni. Il problema di fondo è che la politica nazionale di molti paesi non ha nessun interesse ad adottare misure più radicali che vadano a impattare sul lungo periodo, perché i governi e i politici hanno una scadenza, cioè la durata del proprio mandato; in termini di vantaggio elettorale l’avanzamento verso un futuro senza combustibili fossili non sta pagando.

Dopo l’exploit alle elezioni in diversi paesi europei dei partiti green tra il 2017 e il 2021, c’è stato un successivo ribilanciamento verso forze ultra conservatrici (Fratelli d’Italia, Rassemblement National, Alternative für Deutschland…), che ha frenato la spinta progressista nata sull’onda del movimento Friday’s For Future di Greta Thunberg. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno completato il cerchio, innalzando vertiginosamente il costo della vita, inclusi riscaldamento e carburante.

Esiste quindi ancora un briciolo di speranza? Sì, se pensiamo che le conferenze internazionali come quelle di Baku e Busan sono pressoché le uniche occasioni in questo momento di grande crisi internazionale in cui i rappresentanti dei paesi di tutto il mondo riescono quantomeno a intavolare un dialogo, discutere e risolvere diplomaticamente problemi comuni a tutta l’umanità. La strada è ancora lunga e il tempo stringe, ma questa è la migliore via che abbiamo a disposizione; dobbiamo sfruttarla.

Fabrizio Mogni

fonte immagine in evidenza: https://www.lifegate.it/video-capire-crisi-climatica

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  1. Avatar di The Butcher The Butcher ha detto:

    Un vero peccato. Sembra proprio che non abbiano alcuna intenzione di fare nulla al riguardo o al massimo dare un contentino che però non risolverà un bel niente.

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