
Durato 90 giorni, il governo Barnier è il più breve della storia di Francia. Cambiare tre primi ministri nel giro di un anno è una situazione che sa quasi di casa per gli italiani, ma di certo non per i francesi: basti pensare che l’ultimo governo che ha ottenuto la sfiducia del Parlamento è stata l’amministrazione Pompidou del 1962.
Solo pochi mesi dopo le elezioni di luglio, la Francia è ripiombata nel caos, in una situazione, se possibile, ancora più complicata di prima: un Parlamento ancora spaccato in tre fronti; un capo di Stato con sempre meno popolarità; una legge di bilancio fondamentale da approvare per mantenere la fiducia dei partner europei.
E adesso, cosa succederà? Il presidente Macron dovrà trovare un nuovo accordo fra le forze politiche per creare un governo che duri almeno fino alla prossima estate, ma non sarà facile.

La fatidica legge di bilancio
A far crollare il governo sono stati i forti disaccordi sulla legge di bilancio per il 2025. La Francia si trova infatti in una situazione economica complicata, con un debito pubblico pericolosamente alto.
Michel Barnier, uomo del centro-destra repubblicano e stimato politico a Bruxelles, era stato nominato da Macron per portare a termine un compito ben preciso: porre un rimedio alla situazione economica e rassicurare la Commissione della buona condotta di bilancio francese. A tal fine, la nuova legge di bilancio prevede tagli alla spesa per 40 miliardi di euro e aumenti fiscali per 20 miliardi.
Tuttavia, la riduzione della spesa pubblica è stata oggetto di forti critiche da entrambi i poli politici, poiché includerebbe, fra le varie, tagli alla sanità e interventi sulle pensioni. In particolare, proprio il tema delle pensioni è stato determinante nello spingere il Rassemblement National (RN), il partito di estrema destra di Marine Le Pen, a non sostenere più il governo.
Barnier, cosciente dell’impopolarità della nuova legge di bilancio, aveva tentato di approvarla attraverso la rinomata procedura prevista dall’art. 49.3 della Costituzione Francese, che consente di approvare una legge senza passare dal voto del Parlamento; l’unico modo per bloccarne l’entrata in vigore è la presentazione di una mozione di censura entro 24 ore.
A causa del ristretto lasso temporale per presentare la mozione, normalmente le leggi approvate attraverso l’art. 49.3 non incontrano ostacoli in Parlamento; è quindi significativa la prontezza con cui il Rassemblement National e la coalizione di sinistra del Nouveau Front Populaire (NFP) abbiano presentato la mozione, votando poi in blocco per la caduta del governo.
Una Francia sempre più polarizzata
Si presenta dunque una situazione particolarmente complessa a livello politico, in un Parlamento francese diviso fra gli estremi, in cui l’unica forza di compromesso è un centro sempre meno popolare.
I leader politici sembrano pronti a sfruttare la situazione: non a caso, Mélenchon (leader del partito di estrema sinistra, La France Insoumise, e della coalizione di sinistra NFP) e Le Pen premono per le dimissioni di Macron. Marine Le Pen, in particolare, si vede alle strette per una possibile condanna a cinque anni di ineleggibilità per appropriazione indebita di fondi europei, e punta ad accelerare i tempi per le prossime presidenziali.
Il presidente francese, tuttavia, ha dichiarato che le dimissioni anticipate sono fuori questione e che continuerà a governare fino al 2027.
Poiché, per Costituzione, le prossime elezioni parlamentari potranno tenersi solo a luglio 2025, l’unica opzione rimane quella di nuovi negoziati. Macron ha già indicato come possibile candidato il nome di François Bayrou, leader del movimento centrista MoDem (parte della coalizione Ensemble, di cui è membro il partito di Macron).
La scelta di Macron di rimanere al governo e nominare un nuovo premier centrista si giustifica in termini di stabilità e sopravvivenza nel breve termine: la Francia deve sistemare la propria situazione di bilancio e non può permettersi un governo anti-europeista e populista. D’altra parte, sia il presidente che il suo partito hanno un indice di gradimento sempre più in calo fra la società francese, che adesso vota agli estremi e chiede un cambiamento.
La scelta di preservare lo stato delle cose esistente, attraverso un governo politicamente illegittimo, avrà con molta probabilità delle conseguenze gravi. Si tratta di una situazione quasi inedita in Francia, ma che gli italiani conoscono molto bene: quando i governi (tecnici o meno) sono percepiti come imposti o illegittimi, nel lungo periodo spesso a beneficiarne sono i c.d. partiti anti-establishment, gli unici in grado di presentarsi come un’alternativa. Con una sinistra fortemente divisa dall’interno, la probabile beneficiaria del malcontento francese sarà Marine Le Pen o magari il suo giovanissimo “erede”, Jordan Bardella.
Una cosa è certa: a livello europeo, l’instabilità francese è un problema di non poco conto, se si tiene presente la recente crisi di governo in Germania e i turbolenti negoziati che hanno accompagnato la nuova Commissione europea.
Germania e Francia sono tradizionalmente considerati i “motori dell’integrazione europea”: senza le sue principali guide, preoccupate come sono a risolvere i propri problemi interni, e con una Commissione più debole rispetto alla volontà degli esecutivi, si presentano tempi difficili per l’Unione Europea.
Sara Stella
Per approfondire:
https://www.politico.eu/article/france-government-collapse-michel-barnier-emmanuel-macron/
Crediti immagine: https://www.stern.de/politik/ausland/frankreich–regierung-gestuerzt—premierminister-barnier-tritt-zurueck-35284844.html
