Benvenuto su The Password! Prima di iniziare con il racconto della tua esperienza ci farebbe piacere partire con una tua presentazione. Vorremmo sapere, in particolare, cosa fai nella vita, cosa hai studiato e soprattutto qual è stato il percorso che ti ha portato verso l’attivismo.
Sono un ragazzo torinese di 27 anni. Ho studiato Scienze internazionali e diplomatiche in triennale e, successivamente, Cooperazione internazionale e diritti umani; fin da ragazzo l’attivismo ha costituito una parte fondamentale della mia vita e, per una condivisione di ideali e di tematiche d’interesse, sono approdato in Mediterranea Saving Humans.
Ho iniziato il mio percorso con Mediterranea qui a Torino, lavorando insieme ad altre ragazze e ragazzi in quello che noi chiamiamo “equipaggio di terra”, cioè un gruppo che si occupa di advocacy, raccolta fondi e supporto diretto alle persone in movimento sul territorio. Mi sono sempre sentito “a casa” e, con il passare del tempo, ho partecipato sempre più attivamente alla vita dell’associazione, anche a livello nazionale. Mi occupo principalmente di comunicazione e ho partecipato all’organizzazione del progetto Mediterranea with Palestine, che prevede la nostra presenza nei territori occupati della Cisgiordania.

A proposito di quest’ultimo progetto, come opera Mediterranea sul territorio e in che modo cerca di supportare concretamente il popolo palestinese? Quali sono le strategie messe in atto e come funzionano le altre realtà che stanno sul territorio?
Noi di Mediterranea ci siamo interrogati fin da ottobre del 2023 su come poterci attivare in Palestina a fronte del genocidio in atto a Gaza. Il problema è che, per un’associazione tutto sommato piccola come la nostra, entrare a Gaza è sostanzialmente impossibile, visto che l’accesso in sicurezza nella Striscia non è concesso neanche alle Nazioni Unite da parte delle autorità israeliane. Allora abbiamo iniziato un progetto insieme a Operazione Colomba per operare insieme nei territori della Massafer Yatta, una zona rurale a sud di al-Khalīl (in ebraico Hebron) molto vicina alla green-line, la linea di confine con lo Stato di Israele propriamente detto e dove appunto Operazione Colomba opera da vent’anni. In questa zona si è sviluppato un movimento di resistenza non violenta portato avanti dalla popolazione di una regione che conta tra i 15 e i 20 villaggi, con circa 1200 persone che vi abitano.
Il principio della resistenza non violenta è molto radicato sul territorio — da ormai tre generazioni la popolazione della zona resiste senza l’uso di armi all’occupazione israeliana, colpevole di terribili violenze e violazioni dei diritti umani — ed è espresso, in arabo, col termine “sumud“, che significa essenzialmente “perseveranza”, ma che può essere anche tradotto come “resistenza”, amore, attaccamento alla propria terra.

Dal 2017 in poi il movimento di resistenza non violenta si è organizzato in modo ancora più capillare grazie al contributo dell’ultima generazione di ragazzi e ragazze, che si è attivata per ridare vita al villaggio Sarura, che era stato fatto evacuare dalle forze di occupazione israeliane; da qui è nata la realtà di Youth of Sumud, che è ancora il nostro interlocutore palestinese principale. Partecipano alla resistenza anche altre organizzazioni internazionali e realtà israeliane contrarie all’occupazione, come ad esempio l’ONG israeliana B’Tselem, molto attiva sul territorio. Insomma, possiamo dire che si è creata una vera e propria rete, locale ma allo stesso tempo internazionale, in difesa della causa palestinese sul territorio.
Quando è stata la prima volta che sei arrivato in Palestina e cosa hai provato di primo acchito?
Io sono stato in Palestina tra la fine di giugno e l’inizio di luglio scorso, per una decina di giorni. In quanto attivista internazionale ho subito capito quanto fosse importante mettersi a disposizione del popolo palestinese, fungendo così da strumento per una resistenza guidata interamente dalla popolazione locale e non da noi occidentali. Inoltre, mi è apparso chiaro quanto il ruolo degli attivisti internazionali fosse anche quello di sensibilizzare l’opinione pubblica occidentale rispetto a ciò che sta succedendo nei territori occupati, facendo così pressione sulle istituzioni italiane, europee e internazionali affinché intervengano per fermare le politiche coloniali di Israele.
Crediti immagine copertina:
https://www.operazionecolomba.it/115-palestinaisraele/3364-il-25-aprile.html
Alessandro Santoni e Micol Cottino
