Sabato 29 marzo si è tenuta all’interno del Teatro Carignano una delle tante conferenze organizzate nell’ambito della Biennale della democrazia, giunta alla sua IX edizione. Il tema di quest’anno era Guerre e paci. Sono molti gli oratori, giornalisti, studiosi e figure pubbliche, che la città di Torino ha accolto, tra questi Benedetta Tobagi, scrittrice e conduttrice radiofonica italiana, nonché vincitrice del Premio Campiello. A introdurre il suo intervento è stata Elena Bissaca, fondatrice e presidente dell’Associazione Deina. Durante la conferenza, dal titolo Memoria e conflitto politico nell’Italia repubblicana (e non solo), ieri e oggi, la Tobagi si è soffermata sul dibattito pubblico e, in particolare, sulle strategie del potere utilizzate oggi nelle nostre democrazie.
La capacità del potere di esercitare un controllo totale sul passato assicura il controllo del potere nel presente e garantisce il suo rafforzamento nel futuro. “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”, così George Orwell scrisse in 1984 per spiegare come la memoria possa essere uno strumento di potere. Francesco Filippi in Mussolini ha fatto anche cose buone: le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (2019) scrisse: “Mentre le fake news sul presente servono a indirizzare le opinioni del pubblico a cui sono rivolte, le false notizie sulla Storia hanno lo scopo più profondo di assicurare chi le accetta dei propri sentimenti”. La memoria, spiega la Tobagi, è un’efficace mezzo politico, poiché la narrazione di un passato comune è fonte di identità, infonde senso di appartenenza e senso di comunità. Scegliere che cosa ricordare permette di manipolare le versioni di noi stessi: disegnarci come vittime, innocenti o responsabili. Costruire un passato ad arte garantisce, poi, un effetto di incolumità. È irrilevante che il racconto sia storicamente vero oppure no. Verso la fine del film The Post di Steven Spielberg, Katherine Graham, editrice del The Washington Post, dice a questo proposito: “Le notizie sono la prima bozza della Storia”.
Un dato, per esempio, su cui non sembra essere stata posta abbastanza attenzione, che invece è particolarmente interessante, è il licenziamento per volere di Trump della direttrice degli Archivi Nazionali, Colleen Joy Shogan. Il collocamento di persone di fiducia all’interno di un settore governativo all’apparenza può suscitare poco interesse. Ma, soprattutto in posizioni strategiche come quelle legate alla conservazione dei documenti sensibili, si tratta di un’efficace strategia di potere che ha il “pregio” di inserirsi bene in una democrazia.
Nella manipolazione della memoria è insito il dualismo “noi contro voi”. L’autoritarismo si nutre del caos e delle divisioni interne. Creare un nemico comune, interno o esterno, garantisce unità e compattezza. La paura spinge a stringersi attorno “ai forti”, che vendono e ostentano sicurezza dal pericolo, alimentandone la narrazione. È stato il caso prima e dopo la Seconda Guerra mondiale ed è il caso oggi della paura del comunismo. Si ricordi, per esempio, il dibattito intorno al Manifesto di Ventotene e l’abolizione della proprietà privata. Si pensi al racconto dello stragismo. O ancora, è il caso della narrazione che viene fatta dei migranti e del popolare slogan “Prima gli italiani”. Mentre Papa Francesco invita ad accogliere solidariamente “l’altro”, Salvini, in aperta contraddizione con la fede cristiana così intesa, giurava sulla Bibbia. Questo, insieme al vittimismo, depista l’opinione pubblica.
E non si pensi che la scuola, oggi sotto l’amministrazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito, giochi un ruolo di poco conto. L’educazione possiede la capacità di plasmare un popolo. Leggiamo nelle Nuove indicazioni 2025 per la Scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione, Materiali per il dibattito pubblico: “Nella scuola primaria sembra poi necessario che l’insegnamento abbia al centro la dimensione nazionale italiana, sia al fine di far maturare nell’alunno la consapevolezza della propria identità di persona e di cittadino, sia vista la sempre maggiore presenza di giovani provenienti da altre culture – al fine di favorire l’integrazione di questi ultimi, integrazione che dipende anche, in modo determinante, dalla conoscenza dell’identità storico culturale del Paese in cui ci si trova a vivere”. Tobagi invita a trarne le dovute riflessioni.
Inoltre, la stessa indica possibili rimedi: il pensiero critico, lo sguardo ampio, l’aggancio alle norme costituzionali e internazionali che tutelano i diritti fondamentali e la libertà di stampa. Limitare la libertà di pensiero e di formazione non è una scelta democratica. Solo nel mese di marzo abbiamo assistito prima, a Rivarolo Canavese, all’annullamento della conferenza sulle dello storico Eric Gobetti in una scuola superiore, poi, al Campus Luigi Einaudi, al ritiro dell’autorizzazione precedentemente concessa per la conferenza Storia e legalità internazionale del conflitto Russia-Ucraina, che sarebbe stata tenuta dal prof. Ugo Mattei. Nel primo caso, la scelta sarebbe stata giustificata dalla decisione di “evitare ulteriori strumentalizzazioni politiche”. Nel secondo caso, a far sorridere è la motivazione del rigetto del ricorso d’urgenza al TAR, presentato dal professore a seguito del dietro front del Magnifico Rettore: “Non vi è evidenza della lesione della libertà di insegnamento del ricorrente trattandosi di documentario estraneo agli insegnamenti giuridici (il che fa pensare che, se lo avesse chiesto un politologo, non sarebbe sussistito problema; NdR), né un pregiudizio per la popolazione studentesca”.
Nicole Zunino
Fonte: Biennale della democrazia, Memoria, storia e conflitto politico nell’Italia repubblicana (e non solo), ieri e oggi, Benedetta Tobagi
