L’Unione europea, in questi mesi, sta affrontando una crisi di identità profonda, che riguarda uno dei suoi più importanti principi fondativi: impedire lo scoppio di nuove guerre e promuovere la pace, almeno sul Vecchio Continente. Questo nobile ideale, che è stato così a lungo propagandato con la ormai celeberrima espressione degli “ottant’anni di pace” (non sempre ben realizzato, se pensiamo alla Jugoslavia e più in generale all’Europa orientale negli anni Novanta…), sembra ormai non riuscire più a tenere il passo con il rapido degenerarsi di equilibri geopolitici che venivano dati per scontati da quasi un secolo. La guerra in Ucraina ha sollevato dei nodi che, col crollo della credibilità di un partner storico, gli Stati Uniti, paiono più che mai urgenti. Vale la pena soffermarsi ad analizzare le dinamiche in corso, specialmente la dialettica sempre più accesa tra governi e popolazione.

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Da un punto di vista storico, la parentesi di pace nell’Europa occidentale che è cominciata nel maggio 1945 ed è continuata fino al febbraio 2022 è un unicum: un periodo così lungo di assoluto silenzio delle armi, nel nostro continente, non si era mai verificato, nemmeno in fasi storiche note per la loro stabilità, quali la Pax Augustea, ai tempi dell’Impero romano, o la Pax Britannica, nel XIX secolo. È in questo eccezionale momento di stasi che si creano le condizioni ideali per la nascita di progetti quali la CECA (la Comunità economica del carbone e dell’acciaio, sorta nel 1952 e “nonna” dell’Unione europea), l’ONU, nata nel 1945, e la Corte penale internazionale del 2002.
L’ipotesi che prende man mano più sostanza è, lo specifichiamo, che tutte queste istituzioni siano state non la causa, bensì l’effetto di una congiuntura storica: esse esistono perché, alla fine del secondo conflitto mondiale, vari Paesi avevano scelto di cooperare tra di loro pacificamente e, secondo questa tesi, non sono state le organizzazioni internazionali in sé a far sì che questo stato di cose perdurasse. Ora che il paradigma sta cambiando, quale potrà essere il loro destino è oggetto di dibattito; di fatto, diversi governi ignorano i moniti dell’ONU e della Corte dell’Aja e anche i vari Paesi UE si guardano con diffidenza (sono già 9 gli Stati ad aver sospeso lo spazio Schengen, tra cui l’Italia). L’Unione europea, col suo progetto ReArm Europe, che vorrebbe raccogliere 800 miliardi di euro in appena un quadriennio per finanziare la nuova politica di difesa, sta facendo una curva a gomito rispetto al passato, in un modo che a molti appare quantomeno frettoloso, se non addirittura maldestro.

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Un concetto espresso molto bene da Alessandro Barbero nel suo intervento di apertura della Biennale Democrazia 2025, il 26 marzo scorso, è quello per cui, nella storia, la guerra è sempre stata considerata un normale (seppur estremo) strumento di risoluzione dei conflitti. Questo, malgrado sia considerato un fatto assodato nella storiografia moderna, è invece un concetto del tutto assurdo per una grossa parte dell’opinione pubblica, la quale è stata cresciuta con valori di pace e di cooperazione internazionale che sembrano a mano a mano svanire sempre di più, sull’onda dell’incertezza e dell’isteria. Il video ormai virale della commissaria europea per Preparazione e la gestione della crisi, Hadja Lahbib, è solo l’ennesimo tentativo di normalizzare il linguaggio bellico, in questo caso tramite la gamification. Nel discusso contenuto social, la commissaria imita un video di Vogue e mostra cos’ha nella propria “borsa della resilienza”: acqua, un power bank, del contante. La reazione generale è stata per lo più negativa e questa dialettica tra comunicazione istituzionale e pensiero comune non fa che peggiorare le già incerte prospettive generali verso il futuro. I cittadini a rischio povertà, in Europa, ammontano a 94,6 milioni (di cui 13 milioni solo in Italia): un quinto del totale, il 20%, insomma. Il riarmo viene presentato come necessario per garantire la sicurezza degli abitanti dell’Unione europea, che però hanno sempre meno possibilità, capacità di acquisto e di spesa, con salari che perdono sempre più valore reale a causa dell’inflazione.

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Mentre buona parte dei governi del Vecchio Continente soffia sui venti della guerra, l’opinione pubblica sembra sempre più divisa tra chi prova euforia, chi rassegnazione e chi paura verso un presente in cui i valori che fino a pochissimo tempo fa apparivano fondanti sembrano perdere di importanza di fronte a paradigmi politici che si credevano del passato, ma che di giorno in giorno tornano a essere sempre più attuali. In un’Europa sempre più divisa, spaventata e povera, quale spazio possono avere i vecchi ideali di fratellanza e di diritto alla libera circolazione? Per ora non si sa, ma sembra che l’obiettivo dell’Unione europea sia passato dal rassicurare al “preparare“.
Vincenzo Ferreri Mastrocinque
