Lo spazio profondo ha sempre affascinato gli esseri umani. Il cielo sopra di noi ha portato per tutta la storia umana scienziati, filosofi e scrittori a formare varie teorie che ne spiegassero non solo i meccanismi e le funzioni, ma anche la relazione tra l’infinità del cosmo e la limitatezza all’essere umano.
La fantascienza è stata una delle espressioni più significative di questo fenomeno. La storia di questo genere può esser fatta risalire fino ai lavori di Mary Shelley, scrittrice del XVIII secolo nota per il suo capolavoro Frankenstein, ma inizia a prendere piede alla fine del XIX secolo grazie ai lavori di Jules Verne prima e di Arthur Conan Doyle dopo, decisamente più conosciuto per la serie su Sherlock Holmes ma prolifico scrittore fantascientifico.
Durante la metà del secolo scorso varie riviste specializzate hanno portato la fantascienza nella sua cosiddetta età dell’oro e si sono creati svariati sottogeneri (quali quello distopico e quello supereroistico) che sono diventati popolari sul grande e sul piccolo schermo.
Nonostante venga considerato un genere letterario e cinematografico spesso dozzinale e privo di spessore, i temi che emergono da molti lavori letterari e cinematografici possono essere considerati interessanti non solo dal punto di vista narrativo, ma anche da quello scientifico e da quello filosofico.
Film come Interstellar o The Martian sono stati giudicati positivamente dalla critica non solo perché narrativamente intriganti, ma anche per le questioni scientifiche e filosofiche che sollevano.
Guida galattica per gli autostoppisti è una serie di cinque libri dello scrittore, comico e sceneggiatore Douglas Adams, morto nel 2001. Tratta dall’omonimo programma radiofonico, la Guida è apparsa per la prima volta sul mercato editoriale nel 1979, diventando presto un best-seller, e da allora sono stati pubblicati altri quattro romanzi con gli stessi personaggi.
Sintetizzare la trama dell’intera saga è difficile. Adams stesso ha affermato svariate volte di non aver dato un senso completo alla storia, ma la premessa è semplice: Arthur Dent è un “colletto bianco” che abita nella campagna inglese; la sua vita è noiosa e il suo unico amico è Ford Prefect, un eccentrico aspirante attore. Una mattina un’astronave aliena distrugge la Terra per far spazio a un’autostrada interplanetaria e Arthur si ritrova a vagare nello spazio con l’amico Prefect, che si rivela essere non solo un alieno ma anche uno scrittore per la Guida galattica per autostoppisti.
Durante le sue (dis-)avventure, Dent incontrerà diversi personaggi bizzarri: Zaphod Beeblebrox, presidente della galassia e ladro di astronavi, Trillian, una ragazza che conosceva sulla Terra e ultima donna umana nell’universo, e Marvin, l’androide paranoico, un robot particolarmente pessimista.
Nonostante lo stile ironico e surreale, il libro tratta un tema molto caro alla nostra società: il senso della vita.
Tutti i personaggi, in un modo o nell’altro, si ritrovano in un universo privo di regole, dove ogni cosa è dettata fondamentalmente dalla casualità e dal caos, dove ogni azione ha delle conseguenze decisamente inaspettate.
Uno dei passaggi più significativi del primo romanzo, infatti, è quello che racconta di come la Terra sia in realtà un supercomputer costruito dai topi per rispondere alla “Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto“, che il supercomputer precedente aveva fallito nel rispondere, dato che la sua risposta era stata un semplice numero: “42″.
Il tema dell’assurdità dell’esistenza è stato trattato da molti filosofi nel corso della storia del pensiero, in particolare dal premio Nobel Albert Camus. Nel suo saggio più famoso, Il mito di Sisifo, Camus affronta il problema dell’assurdità della vita, ovvero il fatto che prima o poi dovrà finire per lasciare spazio alla morte. Ciononostante, l’autore sostiene che la vera libertà dell’uomo risieda nel vivere in uno stato in cui niente ha senso, nel vivere per il solo gusto di vivere.
In questo senso si può dire che Ford Prefect, forse il personaggio filosoficamente più interessante del romanzo, sia un Sisifo felice, in particolare per il modo in cui vaga nell’universo con il solo (e inutile) scopo di mappare ogni cosa accada sugli infiniti pianeti. Rimasto abbandonato sulla Terra per quindici anni poiché non erano disponibili dischi volanti a cui chiedere l’autostop, Prefect ha avuto modo di illustrare questa sua filosofia ad Arthur, che, anche nelle profondità dello spazio, è ancora alla ricerca di una tazza di tè.
La gag può sì essere una battuta su come gli inglesi siano sempre alla ricerca di un buon tè, ma, fuor di metafora, il tè e la sua inutile ricerca rappresentano lo stato di negazione in cui vive il protagonista del romanzo: egli nega infatti che la Terra (e quindi la sua casa, il suo senso) non ci sia più e la cerca costantemente, mentre Ford, con la sua passione per l’alcol, è conscio che il senso non sia mai esistito, e che la vita vada vissuta senza cercarlo. Anche perché questa ricerca, alla lunga, non porta ad altro che alla disperazione.
Sole Dalmoro
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