Dopo essere stato scelto a rappresentanza dell’Italia come miglior film internazionale agli Oscar, Vermiglio, il lungometraggio scritto e diretto da Maura Delpero, è stato meritatamente premiato alla 70a edizione dei David di Donatello.
I riconoscimenti di questa edizione, quasi tutti al femminile, hanno premiato giovani artiste, tra cui Tecla Insolia – in qualità di miglior attrice protagonista in L’arte della gioia – e Margherita Vicario per il miglior esordio alla regia, con Gloria!. Maura Delpero, invece, ha stregato l’Accademia del Cinema Italiano con l’opera Vermiglio, presentata a settembre 2024 alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il film ha ricevuto prima il Gran Premio della Giuria e il Leone d’Argento; poi i David per la migliore regia, miglior film, migliore sceneggiatura originale, migliore autore della fotografia, migliore produzione, suono e casting.

Maura Delpero, alla presentazione del film per l’81a edizione del Festival di Venezia, racconta l’origine del lungometraggio: “Questo film nasce da un sogno avvenuto poco dopo la morte di mio padre; era mio padre come non l’avevo mai conosciuto perché era un bimbo di 6 anni, molto felice, nella casa della sua infanzia“. La regista – originaria della provincia di Bolzano, nella Bassa Atesina – incornicia la quotidianità a Vermiglio, il piccolo villaggio trentino dell’alta Val di Sole in cui è cresciuto suo padre e tutta la sua famiglia.
Vermiglio è ambientato nella Seconda guerra mondiale e ha come protagonista la famiglia Graziadei, scombussolata dall’arrivo in paese di un soldato reduce siciliano, Pietro. La regista, così, compie la scelta stilistica di raccontare la storia di un nucleo familiare all’interno di una piccola comunità, tenendo la trama della guerra fuori campo: “C’è sempre una dualità tra il macro e il micro, anche visivamente. Il lavoro fotografico era quello di raccontare queste montagne imponenti. La montagna influenza il modo di essere delle persone“, dice Delpero. Tuttavia, le “schegge” della guerra arrivano lo stesso in questo contesto isolato e lontano, rappresentato nella sua maestosità.
Emergono la tradizione, l’appartenenza a una struttura sociale patriarcale. La famiglia Graziadei è inquadrata negli anni ’40: il padre Cesare è l’insegnante della scuola del paese, la moglie Adele si occupa dei figli e della casa. I bambini e gli adolescenti portano ironia sulla scena, spezzando leggermente il racconto centrale della complessa maternità di Lucia, la figlia maggiore. Il film nasce da una necessità intima della regista, connessa alle sue origini. “Mia nonna, che è la madre nel film, è una donna che ha cresciuto 10 figli e non si è mai mossa dalla cucina. Lei è dentro di me.” Le donne e il loro ruolo, con la propria sfera intima e emotiva, sono rappresentate con cura.
I dialoghi sono in dialetto, perciò ci sono i sottotitoli in italiano. La regista ha voluto raccontare gli intrecci e le vicende della famiglia e di chi sta intorno, immergendo lo spettatore nella totalità della realtà storica e culturale del tempo. La narrazione è come una bolla: sembra tutto racchiuso tra le vette innevate di Vermiglio, che proteggono i protagonisti. Tuttavia, il mondo esterno tocca eccome questo angolo inizialmente tranquillo e lo sconvolge dalle radici.
Cesare, il padre di famiglia interpretato da Tommaso Ragno, è invece un personaggio contraddittorio: inserito nella realtà rurale, ma portavoce della cultura e della scolarità; predica l’onestà, ma fa preferenze tra i figli; marito e padre tradizionale, ma al tempo stesso si distingue dagli altri uomini del paese.

FONTE: RB Casting
La montagna, tra natura e desolazione, resta un luogo misterioso: può essere rassicurante, pacifico, ma anche un luogo paradossalmente chiuso e limitato. Vermiglio ha un taglio documentaristico e vuole raccontare la realtà degli anni Quaranta, in un quadro quasi sospeso tra sogno e realtà. Un anno di vita è dipinto con una fotografia al limite dell’ancestrale. La natura viva del paesaggio e dei personaggi stessi è risaltata dal silenzio, dalle luci e dai colori della montagna. Maura Delpero cattura, con la sua sensibilità artistica, le immagini di una natura imponente, di una famiglia e dei suoi segreti, che svaniscono scena dopo scena.
Cecilia Blunda


