Le donne di María Zambrano

Filosofa politica di stampo cattolico-liberale, María Zambrano (1904 – 1991) è stata una libera pensatrice che si è sempre spesa attivamente per mettere in pratica le proprie idee, assumendo posizioni antiregime, soprattutto durante la Guerra Civile che ha insanguinato la Spagna tra il 1936 e il 1939. È in questi anni, poi, che comincia il suo esilio – tema che sarà cardine nel corpus zambraniano – dopo la sconfitta del fronte repubblicano e il conseguente instaurarsi del regime franchista. Zambrano riuscirà a tornare in patria soltanto nella fase conclusiva della sua vita.

Crediti: Maria Zambrano, https://imagenes.elpais.com/resizer/qhDFi4uTvj2UxKLE0aebcifyw4c=/828×0/arc-anglerfish-eu-central-1-prod-prisa.s3.amazonaws.com/public/5HRZFI3YB6IDK6NUEEPTHWACAY.jpg

La sua carriera di intellettuale engagé comincia già da giovanissima, quando nel 1928, da studentessa universitaria ventiquattrenne, pubblica una serie di articoli per il giornale El Liberal – nella sezione Aire Libre. De la Nueva Generación. Si tratta di scritti militanti, in opposizione alla cosiddetta dictablanda – termine denigratorio per indicare la dittatura che ha governato in Spagna dal 1923 al 1930. Il loro intento? Denunciare la situazione politica vigente all’epoca e risvegliare le coscienze dei coetanei, e non solo, all’azione e all’attivismo politico. È, in effetti, lo stesso periodo in cui Zambrano opera per la FUE (Federación Universitaria Española), gruppo universitario studentesco politicamente impegnato.

All’interno del giornale El Liberal, in particolare, la filosofa si occupa di una colonna settimanale specifica, intitolata Donne. Come riporta Ilaria Ribaga nell’introduzione all’omonimo libro in cui sono stati raccolti e tradotti gli articoli di Zambrano, l’intenzione della colonna è di “non fare teoria del femminismo”. Pur con questa premessa, e con una dichiarazione successiva, da parte dell’autrice, la quale ci tiene a sottolineare la sua appartenenza “più al femminile che al femminismo”, risulta indicativo che l’opera di Zambrano prenda le mosse proprio da un’analisi della sua condizione specifica: essere donna nella Spagna degli anni ’20. A tal proposito, due articoli in particolare, di cui si tratterà di seguito, sono degni di nota.

“Operaie”

Qui Zambrano pare utilizzare un metodo di analisi che sarebbe stato introdotto da Kimberlé Williams Crenshaw – giurista statunitense – solo negli anni ‘80 del ‘900: il concetto di intersezionalità. Tale concetto implica il riconoscimento di plurimi piani di discriminazione, che possono intersecarsi anche in una sola persona. Ricostruendo una sorta di fenomenologia della figura femminile, Zambrano individua tre sottogruppi di donne da tenere in considerazione: le contadine, le operaie e le borghesi. Riconoscendosi a pieno titolo come parte della terza categoria, la pensatrice si appella alle altre due, in particolare alla seconda, al fine di creare un fronte comune di azione. Nei confronti delle contadine e delle operaie appare, però, assumere un tono a tratti paternalistico: le prime vengono descritte quasi come “senza femminilità” nel momento in cui “completano la visione desolante” della campagna castigliana che lei descrive. Pur ponendosi in un piano d’osservazione elevato rispetto a quello dei soggetti descritti, l’intento di Zambrano è quello di proporre una revisione del sistema di rendite e proprietà, così da alleggerire il lavoro di coloro che “sono le fondamenta, il sottosuolo di una razza”, in modo che questo non diventi massimamente usurante. Le operaie sono, invece, invitate dall’autrice a unirsi alla lotta già cominciata – secondo la filosofa – dalle donne borghesi.

La pensatrice spagnola riconosce quindi come non esista, almeno nel caso spagnolo, un soggetto Donna generico a cui si possano imputare le medesime esigenze. Ogni gruppo subisce differenti discriminazioni che vanno tenute in conto e trattate in quanto tali. La proposta di Zambrano di abolire le classi, tuttavia, appare ridursi al solo al punto di vista borghese, su cui sembrerebbe che l’autrice voglia appiattire il resto delle classi, rimanendo così cieco nei confronti degli altri.

“Emancipazione femminile e riconoscimento maschile”

In questo articolo la filosofa rampogna, si potrebbe dire, i suoi colleghi, e gli uomini in generale, per la loro incapacità di stare al passo con la nuova emancipazione ed evoluzione delle donne. Scritto ancora tristemente attuale, esso contiene una forte denuncia alla violenza di genere, tanto che le parole conclusive dell’autrice sono: “È stato così rapido il cambiamento della donna nelle sue esigenze che l’uomo, sconcertato, inadeguato, non è in grado o non vuole, in genere, soddisfarle. Ma per lo meno, che non ci ammazzino!”. Lo spirito moderato e riformista di Zambrano la porta, anche in questo caso – come nell’articolo precedente – alla ricerca di una soluzione comune che possa integrare i punti di vista di uomini e donne, sollecitando i primi a colmare il divario tra generi e invitando le donne a sollevare la testa e agire unitamente.

Nonostante i toni giustamente accesi e infervorati, la proposta della filosofa spagnola rimane però su un piano di dialogo che punti all’integrazione di intenti verso un’azione comune, in quanto l’autrice teme l’eventuale deriva di riproposizione di una logica androcentrica di prevaricazione.

Tenendo a mente che questi sono scritti acerbi all’interno del corpus zambraniano, seppure con alcuni limiti e una linea di proposta timida che potrebbe, in alcuni punti, sfociare nell’essenzialismo, il merito della filosofa spagnola è quello di aver acceso un faro su questioni che per l’epoca sembravano distanti e secondarie, ma che risultano invece impellenti ancora tutt’oggi.

Benedetta Boffa

Fonti:

M. Zambrano, Donne (1928), tr. it. di I. Ribaga, Brescia, Morcelliana, 2006, pp. 65-67 (“Operaie), pp. 73, 74 (“Emancipazione femminile e riconoscimento maschile”)

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