Tyler The Creator, i cellulari e la “cringe culture”

Quando Tyler The Creator ha annunciato il suo album a sorpresa a fine luglio, “Don’t Tap The Glass”, lo ha fatto dando delle istruzioni nelle proprie storie di Instagram: prima di tutto, non bisogna stare fermi – se ascolti questo album ti devi muovere o spostare da un punto all’altro con qualche mezzo. Poi bisogna mettere via la pesantezza – a differenza del penultimo album Chromakopia questa musica non è per filosofeggiare sulla propria vita ma è per ballare e divertirsi. Infine, come ci dice il titolo del progetto, non si deve toccare lo schermo: al release party organizzato durante il Chromakopia World Tour Tyler ha vietato l’uso dei cellulari, non solo per prevenire dei potenziali leak, ma per invogliare i partecipanti a godersi la musica…e non solo.

Sono molti gli artisti che hanno iniziato a vietare i cellulari ai propri concerti, scelta che dai fan più giovani tende ad essere vista come una “boomerata” partita dai musicisti più vecchiotti che non capiscono perché qualcuno vorrebbe registrare fisicamente le proprie memorie dello show. Sembra, però, che per Tyler non sia solo quello il problema – si esprime così su Instagram:

 “Ho chiesto a degli amici perché non ballano in pubblico e alcuni mi hanno detto che è per via della paura di essere registrati. Ho pensato ‘cavolo, una naturalissima forma di espressione e una connessione che hanno con la musica ora è svanita’. Mi ha fatto pensare a quanto lo spirito umano sia stato ucciso dalla paura di diventare un meme. Solo perché uno si vuole divertire. Sono appena tornato dal listening party per questo album e, zio, è stata una delle serate migliori della mia vita. 300 persone. Nessun cellulare. Nessuna telecamera. […] E’ come se tutta l’energia che ci stavamo tenendo dentro fosse stata finalmente rilasciata e volevamo solamente farne uscire ancora di più. C’era una libertà che riempiva la stanza. Dell’energia che potrebbe non venire trasmessa bene da qualunque speaker ma, zio, quella stanza l’ha sentita benissimo. Questo album non è stato fatto per stare fermi. Ballare guidare correre ogni tipo di movimento è consigliato per magari capirne lo spirito. Solo a volume massimo.”

Tyler The Creator non è estraneo dall’essere un meme. Se non lo conoscete per la sua musica (il che è strano, in quanto è uno dei rapper più all’avanguardia dell’ultimo decennio) probabilmente lo ricorderete per alcune hit memetiche del defunto Vine come “Oh my God, can you let me do what I need to do” e “I hope I don’t fall!”. Momenti sinceri, incorniciati quando ancora era a capo del collettivo hip-hop californiano Odd Future e apprezzato prettamente negli Stati Uniti. In un certo modo, il suo divertirsi su Vine è stato il suo primo tramite con un possibile audience oltre oceano. La paura di doversi proteggere dalla “cringe culture” non sembra averlo mai toccato.

Ma cos’è questa “cringe culture”? Il termine “cringe” nella lingua inglese può essere tradotto con il nostro “imbarazzo”, usato però come slang per descrivere la sensazione di “secondhand embarrassment“: l’imbarazzo generato da comportamenti o incidenti altrui. Chi si espone in modo “esagerato” sull’internet, non curandosi delle reazioni altrui, è spesso re-postato su account di Instagram e YouTube dedicati a collezionare momenti cringe, dove i commenti non si sprecano con insulti e prese in giro.

Pensandoci, quante volte avete visto video online che effettivamente prendono in giro o rendono meme chi balla e si diverte? Basti pensare al viralissimo video dei raver gotici, oramai fortunatamente più una reaction picture che materiale per il cringe vero e proprio come lo è stato all’inizio. Sono moltissimi i video di giovani fan del K-Pop e ballerini amatoriali che, ricreando le coreografie dei loro idoli in pubblico, vengono puntati e presi a ridere. Ormai la barriera della privacy è stata abbattuta da app per contenuti immediati come TikTok che permettono che una persona possa venire registrata e postata senza che lo sappia, diventando il nuovo zimbello di internet in un attimo. Ed è estremamente ironico visto che TikTok è per lo più conosciuto per i “balletti” – sarà per caso che la maggior parte di questi ballerini improvvisati rientrano perfettamente nello standard di bellezza? Che si muovano il minimo indispensabile per risultare appetibili? Che non facciano parte di qualche subcultura ostracizzata? O forse tutti e tre?

La “cringe culture”, bisogna dirlo, tende a mettere nel mirino le minoranze: le persone grasse, non bianche e neurodiverse sono solo tre delle categorie più prese in giro dalle “cringe compilations”. In questo caso, il cringe è creato sia dall’azione, sia da chi la compie; persone che non rientrano in certi canoni creano questa strana sensazione stridula di sovversione sociale alla luce del sole, registrata e per sempre impressa nell’internet.

Alle persone grasse, per esempio, spesso viene inculcato di non poter essere sessualmente desiderabili: ecco allora che una ragazza con obesità clinica che esprime le sue preferenze sessuali online un po’ goffamente e si veste in modo succinto potrebbe essere inserita a sua insaputa in una di queste compilation. Altro esempio: le persone autistiche sono ancora soggette ad un iper-stereotipizzazione di persone anaffettive ed incomprensive – quindi, una persona autistica che si emoziona, trema e piange per qualcosa che lə porta passione è ovviamente cringe negli occhi di chi crea questi contenuti. 

Forse, allora, Tyler ha fatto bene a voler vietare i telefonini per una sera per lasciare tutte e tutti più liberə di esprimersi senza la paura di essere presi di mira. Ricordate che provare del cringe non è un crimine e, come tutti i retaggi sociali che ci portiamo fin da piccoli, può essere smontato pezzo per pezzo. Fate un favore al vostro corpo e alla vostra relazione con la musica: al prossimo concerto ballate – soprattutto se non siete bravi. Uccidete la “cringe culture” un passo un po’ storto alla volta.

Gaia Sposari

Approfondimenti:
“Column: It’s time to ditch cringe culture”, A. Alexander, The Ithacan
“The Problem of Cringe and Its Underlying Ableism”, M. Castellaneta, Medium
“Cringe culture comes at the cost of our humanity”, S. Emerson, The Campus
“Post-Cringe Culture, Furries, Nazi Germany and Queers.”, M. T. Monroe, Medium

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