Il 18 aprile 1989, mentre sta praticando jogging tra le 9 e le 10 di sera a Central Park, la ventottenne Trisha Meili viene colpita e stuprata da Matias Reyes. Nello stesso momento, nella zona nord del parco, si registrano altri attacchi e intimidazioni: si tratta di un gruppo di ragazzi afroamericani, circa una trentina, che afferma di “brancheggiare”. Di questi trenta alcuni partecipano attivamente, altri sono lì a curiosare, spinti a seguire la massa di giovani. A causa dei disordini viene chiamata la polizia. Solo dopo si scopre lo stupro, che lascia in coma la vittima per 12 giorni con ferite fisiche e psicologiche impossibili da guarire. Lei non ricorda chi l’abbia violentata.
Il caso ha fin da subito un’ampia risonanza mediatica, anche a causa del gran numero di violenze che si consumavano a quei tempi a New York. Il 1 maggio di quell’anno Donald Trump acquista una pagina sui quattro principali giornali di New York per auspicare il ritorno della pena di morte nello Stato. Vengono accusati cinque ragazzi afroamericani tra i 14 e i 16 anni: Antron McCray, Yusef Salaam, Kevin Richardson, Raymond Santana Jr. (l’unico di orgine ispanica) e Korey Wise. Il processo dura due anni e mezzo, ne parlano tutti i telegiornali e loro sono dati per colpevoli. Di fatto, questo sarà il verdetto. I primi quattro dovranno scontare tra i sei e gli otto anni di carcere. Korey Wise, allora sedicenne (la maggiore età secondo lo Stato di New York), rimarrà in carcere per più di tredici anni, subendo violenze e maltrattamenti tali da costringerlo a chiedere l’isolamento per non soffrire ulteriori sevizie.
Ciò di cui nessuno parlava, tuttavia, era il modo in cui erano state condotte le indagini. I cinque oggi non possono che considerare responsabile la detective Linda Fairstein, all’epoca a capo delle indagini. “She was just doing her job but it caught up to her” (stava facendo il suo lavoro ma si è fatta prendere la mano), afferma Korey Wise in un’intervista condotta da Oprah Winfrey nel 2019.
I cinque ragazzi sono stati interrogati per ore, alcuni senza la presenza di un famigliare, costretti a rilasciare dichiarazioni video con la promessa che “poi sarebbero potuti tornare a casa”. Le tracce di DNA sul corpo della vittima non combaciavano, i cinque non si erano mai visti prima del processo, sui loro vestiti non c’erano tracce né di fango né di sangue e quella sera si trovavano in tutt’altra zona del parco. Mentre Matias Reyes commetteva altri stupri, per i quali poi avrebbe ricevuto l’ergastolo, i cinque giovanissimi e le loro famiglie perdevano anni di vita. Anche una volta scontata la pena, i quattro minorenni al momento dell’accusa si videro negata la libertà: essere un pregiudicato, colpevole di un reato di stupro, negli Stati Uniti impedisce di svolgere praticamente qualsiasi lavoro. Antron avrebbe voluto diventare giocatore di football, Yusef professore, uno degli obbiettivi di Kevin era suonare la tromba per l’Università di Syracuse, a Raymond piaceva la musica hip hop, i vestiti e disegnare, Korey aveva confidato a suo fratello di voler forse fare il poliziotto.
Nel 2002 Reyes, che si trovava in carcere con Wise, finalmente confessa di essere stato lui a stuprare la ragazza. I Cinque di Central Park passano così ad essere chiamati i Cinque Esonerati. Dopo dodici anni di battaglia legale riceveranno il risarcimento dovuto: 41 milioni di dollari. “In some instances, it made it worse because people forgot that we hat to split it five ways. We had to pay attorney fees. And so now when you came in, they go ‘Oh, you got $40 million’ but it’s not true”, afferma Raymond: c’erano le spese legali da pagare, il risarcimento andava diviso per cinque e di sicuro non poteva sostituire gli anni persi. La città di New York non si è mai scusata con loro.
Nel 2019 Ava DuVernay racconta la vicenda in una miniserie, When they see us (https://www.youtube.com/watch?v=IzhbMJt5s94), vincitrice di un Gotham Indipendent Film Awards come miglior serie rivelazione formato lungo e di un Premio Emmy per il miglior attore protagonista a Jharrel Jerome, oltre ad aver ricevuto numerose candidature per gli attori protagonisti e non, la regia e la sceneggiatura. La serie è disponibile su Netflix, dove per diverso tempo è stata in tendenza. Come hanno testimoniato lo stesso cast e il team dietro la realizzazione della serie, interpretarla e guardarla è un atto doloroso ma necessario, con l’obiettivo di raccontare, ascoltare e dare dignità alla vera storia dei cinque. Questo caso non rappresenta una falla in un sistema altrimenti efficiente: “it was built to be this way, to oppress, to control, to shape our culture in a specific way. It was built for profit, for political gain and power, and it is incumbent upon us. It lives off of us, our taxpayer dollars, our votes”, afferma Ava Duvernay. Il sistema carcerario vive della nostra ignoranza e non possiamo più permetterci di essere ignoranti: questo è il messaggio della regista e la spiegazione del perché sia un dovere, come esseri umani e cittadini, conoscere questa storia.
Insieme alla miniserie, su Netflix si trova anche l’intervista di Oprah Winfrey, When they see us now, che approfondisce alcuni aspetti della serie e della storia (e che per questo si consiglia di vedere solo dopo la serie) e soprattutto fa capire che quanto è stato girato non risente di forzature per fini drammatici. Nella stessa intervista, alla domanda “cosa hai imparato sul sistema giudiziario?”, l’attore che aveva interpretato l’avvocato difensore di Antron McCray nella miniserie risponde: “what did I learn about the justice system is that it’s the wrong name for it”.
Nicole Zunino
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