La serie dedicata al tema della mafia, di cui questo è il quinto articolo, desidera restituire il contenuto della conferenza Le radici del male, i frutti della speranza, tenutasi al Campus Luigi Einaudi il 10 ottobre, organizzata da Elsa Torino. Tra gli ospiti relatori era presente Luigi De Magistris, ex magistrato antimafia e politico italiano, europarlamentare e sindaco di Napoli dal 2011 al 2021. In questo articolo si riporta il suo intervento.
La scelta della carriera in magistratura
De Magistris racconta il momento in cui la sua vita da magistrato ebbe inizio: «Ho consegnato l’ultima prova dello scritto nel concorso in magistratura di diritto civile, venerdì 22 maggio 1992 alle ore 19.15, nella mani di Francesca Morbillo, magistrato e moglie di Giovanni Falcone, allora Presidente della Commissione del concorso in magistratura. Per me, Falcone e Borsellino erano due grandissimi punti di riferimento. Non avevo mai visto Falcone da vicino. Esco fuori, in attesa che i miei genitori mi venissero a prendere per tornare a Napoli, e accanto a me vedo passare una macchina blindata: seduto sul sedile posteriore, lato destro, la sagoma inconfondibile di Giovanni Falcone. Il giorno dopo, alle 17.58 del 23 maggio 1992 c’è la strage di Capaci. Parto da qui per dire con che animo è entrata una generazione di magistrati».
La generazione di magistrati di cui parla De Magistris è caratterizzata da giovani, freschi di studi, che decidono di raccogliere quel testamento spirituale lasciatogli da Falcone e Borsellino: Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Erano giovani derisi dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che li chiamava “giudici ragazzini, quelli a cui non affideremmo nemmeno una causa di confini di terreni”.
De Magistris si è preparato per andare in Calabria come prima sede, ad affrontare la criminalità che i suoi maestri gli avevano insegnato. Si accorse, però, da subito che lui e altri suoi giovani colleghi non erano stati informati di una cosa: il livello più pericoloso del sistema criminale non era quello che operava per strada con pistole, mitragliatrici e bazooka, ma erano «quelli che tenevi seduti accanto a te». Racconta così il suo primo giorno nelle vesti di magistrato: «La prima domanda che mi porse un anziano avvocato calabrese il primo giorno in cui indossai la toga, pieno di ansie e gioia, fu “Dottò ma lei a chi appartiene?”. Noi meridionali sappiamo che a chi appartieni è una domanda importante. Io risposi che mia mamma si chiama Marzia e mio papà Giuseppe, ma lo chiamano Peppino. L’avvocato si mise a ridere e disse che non intendeva questo. Io sapevo a cosa alludesse e ribattei che non appartenevo a nessuno, che andavo lì con tanta umiltà ma tanto entusiasmo provando a dare il mio contributo”».
Da lì, De Magistris decise di informarsi su quante condanne ci fossero state per reati contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione, peculato ecc) nei dieci anni precedenti al suo arrivo a Catanzaro: cinque condanne. Il commento del magistrato a questo proposito fu: «O sono capitato nella regione d’Europa con la classe dirigente più onesta del continente, oppure evidentemente c’è qualche problema».
Faccia a faccia con la criminalità istituzionale e la ‘ndrangheta
La criminalità istituzionale è quella criminalità che, pur avendo gli strumenti per attaccare lo Stato, ha deciso di conquistarlo entrando nell’economia, nella finanza, nella politica e nella magistratura. La ‘ndrangheta (che con i sudamericani controlla i più grandi cartelli di droga al mondo) ha deciso di coltivare i suoi interessi politici ed economici più forti in Liguria, Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana. Se escludessimo la quantità di denaro che tutte le organizzazioni mafiose — Cosa Nostra, Camorra, Sacra Corona Unita, ‘ndrangheta — in Calabria rimarrebbe molto poco.
De Magistris ha capito che la pista giusta, per svelare i traffici loschi, era seguire il denaro pubblico. In Calabria, come in altre regioni del Paese, negli anni era arrivato un fiume di denaro pubblico che, se fosse stato usato bene, oggi la situazione del Mezzogiorno non sarebbe quella che è. De Magistris dice che la Calabria sarebbe diventata addirittura la Svizzera o la California d’Europa. Invece, un piccolo gruppo di persone ha creato un sistema per cui il denaro da monte non arrivasse mai a valle.
La strategia adottata per sviare il denaro pubblico fu quella di creare lo stato d’emergenza e lo stato di eccezione permanenti con i commissariamenti: emergenza sanità, emergenza alluvioni, emergenza dissesto geologico, emergenza rifiuti, emergenza depurazioni acque, emergenza lavoro. Perché questo?
L’emergenza comporta l’attribuzione di poteri speciali per superare in fretta la difficoltà, derogando alle normative della legalità e della trasparenza. Il sistema ha capito che quello era il modo migliore per perpetrare all’infinito l’emergenza, non superarla mai e avere le mani libere per farsi strada. I commissariamenti hanno dei poteri speciali: affidamenti diretti, consulenze, incarichi senza gare d’appalto né concorsi o bandi pubblici.
A questi era seguita la creazione di una miriade di società miste pubblico-private, quelle che oggi si chiamano “public utilities”. La parte pubblica era composta da individui del settore politico con i propri interessi privati e collusi fra di loro. La compartecipazione era una farsa: chi stava alla maggioranza prendeva il 70% dei fondi, chi all’opposizione il 30%; una compagine che, però, ciclicamente si alternava. La parte privata era la borghesia mafiosa, ovvero i rampolli della ‘ndrangheta che studiavano a Torino, Milano, Roma. Lì trovavi i colletti bianchi e sempre gli stessi professionisti: gli stessi avvocati, fiscalisti, commercialisti, architetti e ingegneri in tutte le società. De Magistris osservò tutto questo: «Provai a dire al maresciallo e al carabiniere di capire perché dietro vi erano sempre le stesse persone. E si scopriva che uno era il figlio del magistrato, uno il nipote del generale, l’altra la sorella del dirigente della regione. . .». Costoro applicavano una legge ben diversa da quella legalmente riconosciuta: ricordavano al cittadino comune che costui non ha un diritto (oggi poi abbiamo un ministro che dice che “il diritto arriva fino a un certo punto”…), ma un’aspettativa del diritto; anzi, meglio, deve sottostare alla loro gentile concessione in virtù del fatto che sono “il potere”. De Magistris chiarisce: «Siccome il potere non è un filantropo, al cittadino comune quel finanziamento è dato in cambio dell’indicazione delle ditte che devono lavorare, delle persone che sempre il cittadino deve assumere e per chi deve votare». I finanziamenti in teoria erano pubblici, ma di fatto qualcuno a monte decideva privatamente a chi attribuirli.
La testimonianza di De Magistris prosegue nel prossimo numero della rubrica!
Nicole Zunino
Fonte immagine di copertina: https://www.raiplay.it/video/2025/03/Luigi-de-Magistris—La-Confessione-15032025-fdcd03da-ac90-4bcb-905d-bb86b24f7bab.html
