Chi è cresciuto con i film d’animazione dello Studio Ghibli non può che conservare un tenero ricordo di lungometraggi come La città incantata, La principessa Mononoke, Ponyo e Il castello errante di Howl. Delle vere e proprie favole popolate da abili maghi, maiali parlanti, castelli volanti, principesse guerriere e minuscole bambine. Il tutto abilmente illustrato dalle mani di quelle che sono diventate pietre miliari dell’illustrazione giapponese: Hayao Miyazaki e Isao Takahata.
Dopo il successo del 2014 Quando c’era Marnie, lo Studio ha bruscamente interrotto la sua attività, per poi tornare sulla piazza nel 2020 con Earwig e la strega, film d’animazione molto diverso dai precedenti e principalmente per questo motivo accolto negativamente dalla critica. Nonostante possa sembrare la fine dell’era d’oro dello Studio Ghibli, i suoi 21 lungometraggi rimangono uno dei fenomeni di massa più rilevanti del Sol Levante, capace di rendere i suoi film d’animazione un’attrattiva mondiale.
In questo 2022 si è deciso di riportare questa antica gloria alla ribalta: quest’estate in Italia numerosi cinema hanno deciso di trasmettere nelle sale alcuni dei capolavori dello Studio, ora rivisti dai più appassionati con più che un pizzico di nostalgia. Oltre a ciò, questo 1° novembre aprirà in Giappone, più precisamente a Nagoya, lo “Studio Ghibli Theme Park“, una sorta di Disneyland ispirata ai film Ghibli.
Inoltre, questo 12 novembre il Museo Nazionale del Cinema di Torino offre una fantastica iniziativa: Notte Myazaki. In volo sul mondo. Una maratona notturna di alcuni dei più famosi film di Myazaki nell’atmosfera magica del Museo del Cinema in occasione della Biennale Tecnologia, la manifestazione culturale organizzata dal Politecnico di Torino e dedicata a esplorare il rapporto tra tecnologia e società ( biglietti e maggiori informazioni qui cinema.museitorino.it).
I lungometraggi Ghibli rimangono capolavori di illustrazione a volte fiabeschi a volte agrodolci ma sempre adatti a tutte le età. Per questo ne consigliamo vivamente la visione. A chi abbia già visto queste pellicole vogliamo mostrare un lato piuttosto inedito: i lungometraggi di Miyazaki e Takahata non sono solo favole, spesso nascondo significati ben più profondi. Ecco dunque le delle trame nascoste di uno dei più celebri film d’animazione targati Studio Ghibli: La città incantata (千と千尋の神隠し).

Un capolavoro ineguagliabile
(Trama wikipedia.org)
Ottavo film di Miyazaki e primo ad essere distribuito in digitale, La città incantata rimane uno dei capolavori Ghibli più celebri a livello mondiale, vincendo l’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 2002 e il premio Oscar come miglior film d’animazione l’anno successivo. La trama si ispira a quella del racconto Il meraviglioso paese oltre la nebbia di Kashiwaba Sachiko.
In questo film d’animazione troviamo alcune delle scene cult del cinema d’animazione moderno. Ogni fotogramma è così ricco di dettagli che il critico Roger Ebert l’ha definito saturo di “generosità e amore”. Ciò appare ancora più strabiliante se mettiamo in conto che il tutto è stato realizzato dalla sola mano di Miyazaki. Il film appare dunque visivamente sostanzioso ma anche dotato di una delicatezza impareggiabile che giace in quei momenti definiti di “vuoto”, in cui i personaggi non portano avanti la trama con le loro azioni ma si fermano a riflettere in modo da permettere allo spettatore di carpire le emozioni soggiacenti di ogni fotogramma.
La tradizione giapponese
Tra le varie sottotrame del film, troviamo alcune chiavi di lettura legate a scene e personaggi. Tra queste, l’importanza che da Miyazaki al ruolo della tradizione. In questo come in altri suoi film troviamo infatti numerose figure legate alla cultura tradizionale giapponese: Yubaba ricorda le Yamauba, streghe delle montagne; Kamaji assomiglia ad un ragno, in Giappone simbolo di operosità; Senza-Volto indossa una maschera simile a quelle del teatro Nō.

Un altro aspetto che richiama la cultura giapponese sono alcuni caratteri visivi non identificabili da chi non conosce la lingua giapponese: quando la famiglia di Chihiro si avvicina al mercato del parco a tema all’inizio del film, in un fotogramma vediamo il simbolo Kanji 狗 che potrebbe significare cane, ma potrebbe anche far riferimento all’omofono “kuniku” che letteralmente significa carne amara, inteso come qualcosa che richiede un sacrificio personale. Quando il padre marcia deciso sotto un’arcata, uno spettatore giapponese nota che alcuni dei caratteri incisi sopra sono al contrario, a rafforzare il disagio che sente Chihiro. Altri spettatori hanno evidenziato la ripetizione dei caratteri “yu” e “me” nel film, dato che “yume” in giapponese significa sogno.
I nomi dei personaggi sono un altro riferimento esplicito alla lingua e cultura giapponese. Chihiro letteralmente significa “fare domande” o “essere alla ricerca”. Kamaji significa vecchio uomo delle caldaie.
Il capitalismo
Il potere capitale è un altro tema ricorrente. Ne è simbolo proprio Yubaba, che accecata dal desiderio di profitto non presta attenzione al proprio bambino, mentre nel suo impianto termale esseri come Kamaji lavorano senza sosta in una rappresentazione dell’esasperata ottimizzazione meccanica del lavoro. Vittime di questo capitalismo tiranno, i dipendenti di Yubaba sono totalmente alienati.
Una scena che incuriosisce molti è quella in cui i genitori di Chihiro si trasformano in maiali. Al proposito lo stesso Studio Ghibli ha fornito un’interpretazione: questa trasformazione orripilante rappresenta l’avidità che aveva investito il Giappone durante la recessione degli anni ’80.
La storia può dunque essere interpretata come la contrapposizione tra il Giappone antico e quello moderno, il primo caratterizzato da valori tradizionali e spiritualità mentre il secondo è dominato da avarizia e alienazione.

Identità e crescita
Un altro ruolo fondamentale è quello dato al concetto di identità: quando la strega cambia il nome di Chihiro in Sen, Haku la avvisa di non dimenticare la propria vera identità, perché chi la dimentica diventa schiavo di chi vuole sottrarci la nostra individualità. Questa tematica ritorna quando Chihiro/Sen aiuta proprio Haku a ritrovare il suo vero nome, Kohaku. Scordandosi di esso il ragazzo era diventato servo della strega Yubaba.
Bō, il gigantesco neonato di Yubaba, rappresenta l’immaturità di Chihiro. Goffo, viziato e per niente autosufficiente, rappresenta un ostacolo sul percorso della protagonista. Solo alla fine, dopo aver seguito Chihiro nelle sue avventure, impara a camminare da solo in tutti i sensi. Sotto una lente più ampia, La città incantata raffigura il percorso di crescita della protagonista, il suo accesso alla vita adulta. Se inizialmente il dover trasferirsi e cambiare scuola la spaventava, ora sa che con lealtà, gentilezza e lavorando sodo riuscirà a trovare nuovi amici e costruirsi una nuova realtà. Chihiro può contare solo sulle proprie forze per attraversare questo rito di passaggio. Miyazaki ha dichiarato che le due scene più importanti si trovano rispettivamente all’inizio e alla fine del film, entrambe mentre la giovane protagonista è in macchina. Nella scena iniziale è stanca, capricciosa, triste, nell’ultima invece sembra piena di vita, impaziente di cominciare una nuova vita. Ha compiuto un passaggio.
L’equilibrio e il cambiamento
La città incantata è in definitiva un film che parla di equilibrio e opposti. Il bilanciamento che deve trovare Chihiro per passare ad un nuovo capitolo della propria vita, quello tra mondo antico e moderno, tra spiritualità e modernità, tra bene e male. Non ci sono personaggi negativi, ma solo personaggi guidati da intenzioni negative che devono trovare il coraggio di cambiare, così come deve fare Chihiro per affrontare il proprio futuro.
Caterina Malanetto
Fonti:
Fonte immagine di copertina: circuitocinema.com
