Il tumore alla mammella, solo in Italia, colpisce ogni anno circa 50.000 persone e rappresenta il cancro più frequente tra le donne. Secondo i dati aggiornati del Ministero della Salute, nel 2020 sono stati diagnosticati 55.000 nuovi casi di carcinomi della mammella, ma lo screening e la diagnosi precoce permettono di identificare un numero sempre maggiore di tumori allo stadio iniziale portando così il tasso di sopravvivenza, a 5 anni dalla diagnosi, all’88%.
Ottobre è il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno. La diagnosi precoce rimane, insieme ai progressi della ricerca e delle terapie, l’arma più importante per combattere questo male. Per diffondere tale messaggio «The Password» ha realizzato tre interviste con persone che hanno avuto a che fare da vicino con il cancro al seno.
Attraverso la Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro abbiamo contattato Matteo Lambertini, professore associato presso l’Università di Genova e oncologo medico all’Ospedale Policlinico San Martino. Durante il suo percorso formativo in oncologia ha collaborato con diversi esperti a livello nazionale e internazionale, sviluppando specifiche competenze per la gestione del tumore al seno nelle giovani donne e focalizzando l’attenzione sulla preservazione della fertilità e sul miglioramento della qualità della vita delle pazienti.
Autore di numerose pubblicazioni, è coinvolto nell’ambito della ricerca sul tumore al seno e dall’ottobre 2011 è membro attivo dell’European Society for Medical Oncology (ESMO).
Ci parli di lei. Di cosa si occupa?
“Sono professore associato in oncologia medica e ricercatore AIRC. Ho frequentato l’Università di Genova con specialità in oncologia medica, per poi fare il dottorato di ricerca presso l’Università di Bruxelles. Dopo quattro anni in Belgio sono tornato a Genova con una cattedra presso l’Università e lavorando all’Ospedale San Martino.
In particolare mi occupo delle pazienti affette da tumore alla mammella con un focus particolare sulle giovani donne, coloro a cui viene diagnosticato il tumore prima dell’età della menopausa. Questa è anche la mia principale area di ricerca. Nei miei anni di attività all’estero, in particolare Stati Uniti e Belgio, mi sono molto dedicato a questo argomento, tra cui il tema delle problematiche relazionate alla tossicità delle cure del carcinoma mammario nelle donne giovani, come ad esempio l’oncofertilità: la perdita della fertilità come conseguenza dei trattamenti oncologici e la possibilità di avere una gravidanza al termine delle cure stesse”.
Può spiegare meglio la correlazione tra tumore al seno e le problematiche relative alla fertilità?
“Il trattamento dei tumori, in particolare la chemioterapia, presentano il rischio di causare un danno alle ovaie che si può tradurre in una sorta di menopausa precoce. Le ovaie dunque smettono di funzionare senza riprendersi più. Ovviamente questo non succede sempre, ma il rischio è molto alto soprattutto in base a fattori come l’età, (più la paziente è vicina alla menopausa naturale maggiore è il rischio), il tipo di chemioterapia e la sua durata. A tutte le donne giovani che si sottopongono a chemioterapia viene illustrato questo effetto collaterale e proposto un piano di tecniche per la preservazione della fertilità, sia che la persona sviluppi una menopausa precoce o meno. La tecnica più nota è la crioconservazione degli ovociti: la congelazione degli ovociti prima di iniziare la terapia. In questo modo, se la donna non riuscirà ad avere una gravidanza dopo il termine delle cure potrà accedere a questo materiale congelato, aumentando la possibilità di rimanere incinta. Un’altra tecnica è la crioconservazione del tessuto ovarico, una procedura un po’ più complicata, che viene applicata a chi non ha la possibilità di accedere alla tecnica precedente perché ad esempio necessita di cure oncologiche tempestive. La crioconservazione degli ovociti impiega infatti alcune settimane ad essere realizzata mentre la seconda tecnica solo alcuni giorni. L’ultimo trattamento consiste nel mettere al riposo le ovaie durante la chemioterapia. Si somministra infatti un farmaco per bloccare le mestruazioni rendendo le ovaie meno sensibili agli effetti della chemio. Questa tecnica è stata brevettata dal nostro gruppo, coordinato dalla dottoressa del Mastro e realizzato grazie ai supporti AIRC, e ha reso l’Italia il primo paese a dimostrarne l’efficacia. Questa è una tecnica sicuramente molto importante, ma non è un’alternativa alla crioconservazione degli ovociti che rimane la più risolutiva”.
Qual è il ruolo della ricerca? Quanto fa la differenza?
“La ricerca medica, soprattutto in oncologia è fondamentale, anche nell’ambito di cui mi occupo io che è più correlato alla qualità della vita post-tumore che al trattamento del cancro stesso. La ricerca non solo ci permette di fare passi avanti nelle cure, ma anche in aspetti riguardanti ad esempio la tossicità dei trattamenti, la prevenzione di tale tossicità e comunque la possibilità di far tornare i pazienti ad una vita normale nel minor tempo possibile.
Solo qualche anno fa la vita dopo il tumore era considerata impossibile, per questo ad oggi numerosi studi, molti dei quali finanziati da AIRC, intervengono su questo campo”.
Cosa ci può dire riguardo la prevenzione?
“La prevenzione è assolutamente importante per cercare da una parte di ridurre il rischio di sviluppare un tumore e dall’altro di diagnosticarlo. Nel caso del carcinoma alla mammella è possibile realizzare una sorta di prevenzione secondaria attraverso uno screening, in modo da diagnosticare un possibile tumore e trattarlo per tempo. Tra le prevenzioni primarie, che riducono quindi il rischio di sviluppare un tumore, troviamo delle procedure profilattiche che interessano soprattutto chi ha una familiarità genetica con il tumore al seno, ad esempio interventi chirurgici che permettono di eliminare o ridurre in modo molto importante il rischio. Riuscire a ridurre l’incidenza o a diagnosticare il cancro in una fase molto iniziale assume dunque un ruolo ancora più importante che curare il tumore di per sé, riducendo la necessità di terapie che spesso implicano effetti problematici sulla qualità di vita delle pazienti.
Ahimè, pazienti molto giovani come quelle che seguo io si trovano al di fuori del programma di screening, che avviene a partire dai 45-50 anni, per cui ad oggi non esistono molti programmi di prevenzione secondarie per loro”.
Dunque come è possibile occuparsi delle pazienti che ancora non rientrano nel programma di screening?
“È fondamentale che tutte le persone, anche quelle sotto i 30 anni, siano avvertite del fatto che un qualsiasi nodulo al livello della mammella va indagato tramite ecografia mammaria, proseguendo con un percorso diagnostico. La giovane età non può escludere che si tratti di tumore alla mammella. Anche se è molto raro, questo cancro può colpire anche donne in gravidanza, perciò anche in quel caso la presenza di un nodulo non va sottovalutato”.
Quanto conta la predisposizione genetica?
“La predisposizione genetica spiega circa il 10% dei tumori alla mammella dunque circa 1 tumore su 10 è correlato a tale predisposizione. I principali geni responsabili si chiamano BRCA, BRCA1 e BRCA2, ma esiste anche una serie di altri geni che se mutati possono predisporre allo sviluppo del tumore alla mammella.
Se andiamo ad analizzare delle popolazioni speciali di pazienti, come nel caso del mio studio le donne che si trovano al di fuori del range di screening, la genetica spiega tra il 15% e il 20% l’insorgenza di un cancro al seno. È dunque una quota importante soprattutto nelle persone giovani”.
Di cosa si occupa nello specifico AIRC?
“AIRC si occupa di supportare la ricerca oncologica su più livelli. Quello di cui voglio farmi portavoce e di cui sono molto fiero, è che AIRC finanzia anche progetti riguardanti non solo la cura del tumore di per sé ma anche aspetti importanti riguardanti la qualità di vita. Questi aspetti purtroppo suscitano poco interesse e sono dunque difficilmente finanziabili. Nel mio caso di studio AIRC sta portando avanti progetti nel campo dell’oncofertilità, volendo rispondere a due domande: la prima riguarda il rischio di tossicità gonadica, dunque d’induzione alla menopausa precoce, con le nuove terapie di farmaci target a bersaglio molecolare. Noi sappiamo molto bene quello che è il rischio con la chemioterapia, ma abbiamo poca o nessuna informazione per quanto riguarda questi nuovi farmaci che oggi vengono usati sempre più frequentemente. Il secondo campo di studio è correlato al gene BRCA: sembra che anche questo gene possa ridurre la capacità di concepimento anche prima la chemioterapia. Vogliamo dunque scoprire quale sia il suo ruolo relativamente alla fertilità delle pazienti e se, abbinato alle cure oncologiche, questo difetto possa ulteriormente diminuirla.
Inoltre, per moltissimi anni c’è stata la cosiddetta controindicazione alla gravidanza per le donne che avevano avuto in passato un tumore della mammella, perché la gravidanza aumenta gli ormoni e dunque potrebbe aumentare il rischio di recidiva delle pazienti. Questo in realtà deriva da una credenza della comunità oncologica non basata su nessuna evidenza scientifica. Negli anni molti studi, tra i quali il nostro, stanno lavorando per dimostrare che avere una gravidanza al termine di un ciclo di cure appropriato per il tumore alla mammella è assolutamente sicuro“.
Quali sono i passi avanti fatti dalla ricerca? E quelli che si vorrebbero intraprendere in futuro?
“Grazie alla ricerca abbiamo a disposizione farmaci rivoluzionari ed un effettivo miglioramento delle prognosi molto importanti. Per quanto riguarda l’aspetto futuro, oltre che migliorare queste sopravvivenze, un fattore da migliorare è la cosiddetta survivorship, ovvero la vita dopo la malattia, che fino a pochi anni prima era molto sottovalutata”.
Caterina Malanetto
Per approfondire la tematica consulta:
La campagna Frecciarosa per la prevenzione del tumore al seno – mese di ottobre 2022.
Associazioni che promuovono la prevenzione del tumore al seno:
(Fonti: alleatiperlasalute.it)
