Quanto costa il successo nella vita? Questa è una domanda che, oggigiorno, potrebbe essere considerata alquanto scottante: ogni singolo, qualunque sia la sua età anagrafica, sente la pressione di una società che potremmo considerare invisibile ma che, al tempo stesso, è in grado di esercitare un potere il cui peso è paragonabile a quello di un macigno. Apparentemente viene concessa una libertà che, il più delle volte, risulta essere solo apparente: si sceglie cosa si vuol fare della propria vita ma poi, quel che finisce con il risultare rilevante, non è il giudizio della persona interessata ma quello di chi, spesso e volentieri, non sa assolutamente nulla del percorso del protagonista.
Questa premessa serve per arrivare ad un’intervista, divenuta virale in questi ultimi giorni, posta a Giannīs Sina Ugo Antetokounmpo, cestista greco del team dei Milwaukee Bucks il quale è stato eliminato al primo turno dei playoff NBA dai meno quotati Miami Heat: per chi se la fosse persa, riassumendo in poche parole, un giornalista gli ha rivolto una domanda chiedendo se considerasse la stagione che sta volgendo al termine come un fallimento. Quel che appare curioso è che l’intervistatore ha specificato come avesse già fatto la stessa domanda l’anno precedente, aggiungendo di essere curioso della risposta che avrebbe ricevuto.
Ora, quella regalata da Antetokounmpo potremmo definirla una vera e propria lezione di vita della quale, oggi come non mai, riteniamo averne un gran bisogno. Partiamo dalla sua gestualità: un leggero sbuffo e le mani nei capelli sono il primo segnale che ci indica una reazione forte ad una domanda davvero poco discreta. D’altronde, perché essere curiosi di sapere se una persona consideri fallimentare un qualcosa che la riguardi in primis? Dovremmo sempre rammentare che, mai nella vita, dovrebbe essere un giudizio esterno a dare l’idea di cosa sia considerabile un successo e cosa un fallimento. La reazione continua poi nelle parole: Giannīs risponde chiedendo al giornalista se, al termine del proprio anno lavorativo e non avendo ottenuto una promozione, questo debba essere considerato un fallimento o se Michael Jordan che, avendo vinto sei titoli in quindici anni di carriera, dovesse considerare gli altri nove come una delusione. La risposta risulta essere negativa anche se, purtroppo, non è ancora da considerarsi in quanto scontata. Come ci ricorda il cestista nella vita non si tratta solo di vincere o perdere, c’è molto di più: se oggi vinciamo ed abbiamo successo in qualcosa questo non significa che debba esistere l’obbligo morale nel ripetersi ugualmente il giorno successivo. La vita non andrebbe misurata tramite un metro simile perché è proprio così si perde la sua essenza.
Tutto ciò, poi, andrebbe traslato nella vita più comune di tutti i giorni: non è da considerarsi un fallito chi svolge inizialmente una mansione estremamente modesta poiché, magari, quella è la strada che ha trovato e che vuole altresì percorrere per arrivare ad un qualcosa di più grande. O magari quel poco lo soddisfa, questo gli basta per gioire e magari lui stesso sa molto più della felicità e dello star bene con sé stessi di chi passa le proprie giornate a lanciargli dei giudizi considerabili, perlopiù, inutilmente ingrati senonché gratuiti.
Al tempo stesso va ricordato la propria esistenza non è una corsa al successo: quanti studenti universitari oggi si tolgono la vita per un esame non dato o per una laurea presa non in tempi record? L’attuale società spinge quante più persone possibili ad appendersi, da sole, un enorme numero uno sulla schiena. Questa pare essere diventata ormai la più banale delle normalità, non esiste più il valore del singolo ma solo il successo che esiste al fine di essere elevato per un esatto istante, il tempo necessario a sostituire la persona idolatrata con un qualcuno che viene considerato più bravo o più forte per qualche motivo.
In conclusione, Antetokounmpo ci ricorda che fallire non è una cosa negativa ed anzi che, spesso e volentieri, questo ci insegni un qualcosa che magari permetterà di non commettere lo stesso errore la volta successiva. Dunque, siamone certi: la vita di ogni singolo non sarà mai un fallimento sino a quando questo saprà di aver dato tutto quel che aveva. Certo, il risultato rimarrà sempre un qualcosa di importante ma non dovrà mai essere considerato come l’unica cosa che conti davvero. E questo doveva, deve e dovrà sempre valere nello sport, così come nella vita di tutti i giorni: grazie Giannīs per avercelo ricordato.
Andrea Bordonaro
Crediti immagine di copertina: https://www.gqitalia.it/article/perdere-non-fallimento-lezione
