Quando il Rap diventa strumento didattico: Intervista ad Amir Issaa pt.1

Il cellulare suona tra le mie mani in una fredda giornata di gennaio. Era il momento che aspettavo da settimane: tra pochi istanti, dall’altra parte, avrebbe risposto Amir Issaa. L’avevo visto per la prima volta al Salone del Libro di Torino mentre presentava con passione un suo saggio. Ancora non lo conoscevo, ma dopo aver letto i suoi libri ed aver ascoltato le sue canzoni ho deciso subito di intervistarlo. Ero sicuro che avrebbe avuto un sacco di cose interessanti da dire. Il cellulare smette di suonare. Un saluto rompe il silenzio. L’intervista inizia:

Ciao Amir, puoi presentarti a chi non ti conosce e dire che cosa fai nella vita?

Ciao a tutti, io mi chiamo Amir Issaa e sono un rapper della scena italiana. Da circa dieci anni uso il rap come strumento didattico-educativo e parallelamente alla mia carriera discografica sono un educatore. Quello che faccio è usare il rap e la cultura hip hop come strumento educativo e didattico. Ho tre libri pubblicati in Italia e da un bel po’ di tempo collaboro con università e college all’estero, soprattutto negli Stati Uniti

Ti ho conosciuto lo scorso anno durante il Salone del Libro durante il quale presentavi il tuo libro “Educazione Rap”.  Com’è nato?

Ho iniziato a utilizzare l’hip hop e il rap come mezzi per aiutare le persone a esprimersi nei centri per rifugiati e in contesti di disagio giovanile e sociale, portando la mia esperienza personale. La mia storia, infatti, è fortemente legata alle mie esperienze vissute fin da piccolo. Crescere in Italia negli anni ’80 con il nome di Amir Issaa non è stato semplice. Oggi l’Italia è in una fase di forte evoluzione culturale: ci sono tantissimi italiani di seconda generazione con genitori stranieri, ma io appartengo alla generazione precedente che ha vissuto questa cosa un po’ all’inizio e non è stato semplice. 

Mi ha creato disagio e ho affrontato diversi problemi legati alla detenzione di mio padre quando ero bambino. Nei primi anni 2000, infatti, mio padre è stato detenuto per tanti anni, e questo ha causato problemi a livello familiare e sociale. Sono cresciuto in condizioni di povertà e ciò ha avuto un impatto emotivo e psicologico su di me: mi tenevo molto le cose dentro. La musica rap mi ha aiutato, mi ha offerto uno sfogo, permettendomi di raccontare la mia storia e di esprimere ciò che avevo dentro attraverso le canzoni.

Alcuni miei brani, come “5 del mattino”1, “La mia pelle”2, “Inossidabile”3, sono esempi di storytelling in musica, dove condivido le mie esperienze e la mia vita.

Questa esperienza mi ha aiutato e dal 2008 ho deciso di affiancare alla mia carriera discografica quella da educatore. L’ho iniziato a fare in modo istintivo perché non c’era un modello da seguire, prima di me pochi altri lo avevano fatto. Negli Stati Uniti, l’uso del rap come strumento psicologico, didattico ed educativo era già una pratica affermata, e mi sono trovato a fare parte di una generazione che ha iniziato a esplorare queste possibilità in Italia.

Educazione Rap

Quindi mentre sviluppavo i miei workshop e laboratori, mi è stata proposta da Add Editore, una casa editrice di Torino, l’idea di scrivere un libro che raccontasse queste esperienze. Accettai, dando vita a un “libro-strumento” pensato per essere utilizzato da docenti e proposto agli studenti nelle scuole, culminando in laboratori di scrittura.

L’inizio ufficiale di questo percorso è stato segnato da questo progetto: “Educazione Rap” un libro che raccoglie tutte queste mie esperienze.4

Secondo te, da quando hai iniziato a proporre questi laboratori fino ad ora, è cambiato qualcosa nell’approccio dei professori?

È cambiato tantissimo e ti dico anche perché. 

All’inizio, intorno al 2008 o 2009, quando proponevo i miei laboratori e il concetto di educare attraverso l’hip hop e il rap, mi trovavo in un contesto italiano dove questa cultura era ancora ai suoi esordi. Il rap e l’hip hop, in particolare, non era molto diffuso e spesso soggetto a pregiudizi, associato erroneamente solo a fenomeni negativi come l’uso di droghe o l’impiego di linguaggio scurrile, e non considerato adatto all’educazione. Quando mi presentavo nelle scuole come il “rapper che voleva insegnare”, incontravo la resistenza di alcuni docenti e dirigenti scolastici, prevenuti dall’immagine stereotipata del rapper.

Piano piano questa cosa è cambiata perché ho iniziato ad acquisire credibilità, soprattutto grazie alla collaborazione con nomi molto importanti e istituzionali come UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), Save the children e Treccani. Cominciavo a non essere considerato più solamente come il rapper che voleva entrare a scuola, ma ero visto anche come un attivista. Inoltre, l’uscita del mio primo libro, “Vivo per questo”5, ha cambiato molto questa percezione. Quando i professori e i dirigenti scolastici si andavano ad informare vedevano che non ero solamente un rapper che aveva pubblicato alcune canzoni, ma ero anche uno scrittore e un attivista. 

Vivo per questo

Tornando al tuo primo romanzo: com’è cambiata la tua produzione musicale da quando hai iniziato a scrivere romanzi e saggi? 

Secondo me è al contrario. In realtà non è la scrittura dei romanzi che ha influenzato la mia carriera artistica e musicale, ma è l’opposto. 

Per esempio, nella mia canzone “5 del mattino”, ho adottato uno stile narrativo tipico del rap, che consiste nello storytelling sintetico. Nel rap utilizziamo molto questa tecnica, cioè in una canzone di 3-4 minuti dobbiamo raccontare storie, poi ogni rapper ha il suo stile, ma il mio è stato sempre molto legato allo storytelling. Quindi, questo approccio era già centrale nella mia musica, molto prima che mi avvicinassi alla scrittura di libri. 

Dopo tanti anni, scrivere con questa tecnica era diventato una gabbia per me. Mi piaceva l’idea di raccontare senza seguire una base musicale: mi sentivo più libero di entrare nei dettagli. Naturalmente, una canzone ha i suoi limiti di tempo, può durare al massimo quattro o cinque minuti, dopodiché si deve concludere. Questa limitazione non esiste nella scrittura di un libro.

Ad esempio, alcune tematiche  riportate nel mio libro “Vivo per questo” le avevo già accennate in musica. Quando ho sviluppato uno stile di scrittura narrativa, libero dalle restrizioni della musica, mi sono sentito come se stessi volando e da lì non mi sono più fermato: ho iniziato a scrivere recensioni e introduzioni per libri. Gradualmente, ho migliorato le mie capacità narrative, culminando nella scrittura di “Educazione Rap”, un lavoro più rifinito.

Allora, questa evoluzione rappresenta una progressione naturale della tua carriera artistica?

Si. Credo che ognuno trovi nella vita un modo per esprimersi: alcuni scelgono l’arte, altri la danza. Per me, è stato il rap a catturarmi durante l’adolescenza, offrendomi un accesso facile e diretto alla scrittura. Se mi avessero detto a 14 o 15 anni di scrivere un libro, non ci avrei mai pensato. Quindi è il rap che si è avvicinato a me, ne ho capito il potere e l’ho “usato” per tanti anni. Con il tempo, ho sentito la necessità di andare oltre le limitazioni imposte dalle rime e dalla base. Non ho abbandonato il rap, ma ho iniziato a esplorare anche altri stili di scrittura. Penso che sia normale cambiare mezzo espressivo: dalla poesia alla narrativa, dalla musica al cinema o alla fotografia. L’importante è continuare a raccontare storie. In questo momento, questo strumento narrativo mi piace molto, quindi, per ora continuerò sicuramente su questa strada. 

Da poco è uscito un tuo nuovo progetto musicale. Cosa racconta?

Ho ripreso a pubblicare da poco. Mi ero un po’ fermato, per dare più spazio al lavoro didattico ed educativo. Però, non ho mai chiuso la porta al rap. Ora voglio tornare a fare sicuramente musica, ed è uscito un progetto interessante che mi piacerebbe menzionare: il  2 febbraio è uscito un mio nuovo album. Senza dubbio, rappresenta una novità rispetto ai miei precedenti lavori; non è il classico album hip hop a cui il mio pubblico è abituato.

This is What I Live for

Il mio primo libro è stato recentemente tradotto negli Stati Uniti e proprio il 2 febbraio è iniziato il tour americano di presentazione. Ho voluto accompagnare il libro a delle canzoni, unendo così musica e letteratura: ho trasformato venti capitoli del libro in altrettante canzoni, creando un album che funge da colonna sonora del libro stesso. Questo progetto nasce in un contesto dove la lettura in Italia sta sempre più calando e l’ascolto della musica è spesso distratto, dominato dai singoli. L’intento è di offrire un’esperienza d’ascolto completa e immersiva di 31 minuti, che richiede di essere ascoltata in sequenza, dall’inizio alla fine, per cogliere il legame tra i capitoli e le canzoni. Il titolo è “This is What I Live for”6 ovvero il titolo della versione inglese del romanzo. È un progetto su cui ho lavorato molto ed è una cosa abbastanza nuova, singolare. Secondo me è una bomba.

Fine prima parte dell’intervista ad Amir Issaa

Alessandro Santoni

Note:

  1. 5 del mattino: https://open.spotify.com/intl-it/track/4JwlEogrYTXKlwsU3iCqtR?si=8ec52b3cc6994555 ↩︎
  2. La mia pelle: https://open.spotify.com/intl-it/track/5LUEkFwxMc7zJhu7Z0lk5c?si=adfdca496a9244ea ↩︎
  3. Inossidabile: https://open.spotify.com/intl-it/track/7h0sMzrbMzS37KfBQZIm9p?si=cae41748f6ca4ec5 ↩︎
  4. Educazione Rap: https://www.addeditore.it/catalogo/amir-issaa-educazione-rap/ ↩︎
  5. Vivo per questo: https://www.amirissaa.com/libri/ ↩︎
  6. This is What I Live for: https://open.spotify.com/intl-it/album/67f1Y4mbTk6G8FFLImd61P?si=mGWM80ALTi6HIj4rHHXdgg ↩︎

Crediti immagine copertina: https://www.amirissaa.com/

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