Non è Be Right Back, l’episodio di Black Mirror dove Hayley Hatwell cerca di rimpiazzare il defunto fidanzato con una copia generata dall’Intelligenza Artificiale. Non è nemmeno Her, che mette in scena lo straziante innamoramento di Joacquin Phoenix nei confronti della sua assistente vocale.
È però un fenomeno sempre più comune: sostituire il rapporto umano con quello uomo-macchina.
Dato che l’IA è diventata molto popolare negli ultimi anni, con la creazione di chatbots sempre più raffinate e realistiche, alcuni studiosi e professionisti hanno iniziato a incentrare le proprie attenzioni sul presunto legame che si potrebbe creare con una macchina.

L’idea che l’Intelligenza Artificiale possa in qualche modo sostituire o integrare le relazioni umane non è poi così distopica.
Nella moderna società occidentale, sempre più iper-competitiva e alienante, il valore di comunità sta lentamente svanendo e il processo è stato esacerbato dall’esperienza pandemica e dal periodo di lockdown, che ha segnato un momento di incredibile solitudine per tutti, ma specialmente per bambini e adolescenti; in questo panorama estraniante, non è così bizzarro che la solitudine si sia diffusa al pari di un’epidemia.
A dimostrarlo è un’indagine del 2023 condotta da Meta-Gallup su oltre 142 Paesi, secondo cui un quarto degli intervistati si sarebbe definito “molto/abbastanza solo”. A soffrire di più sarebbero appunto i giovani tra i 19 e i 29 anni, il cui 27% ha dichiarato di soffrire di solitudine. Un secondo studio dell’APS (Australian Psychology Society) evidenza invece che un terzo dei cittadini australiani si sente solo. In ultima istanza, da un sondaggio condotto da Il Sole 24 Ore nel 2020 è emerso che il 55% degli italiani non avesse nessuno a cui rivolgersi.
Ed è proprio in questo quadro che entra in gioco l’IA e la sua capacità di emulare, in qualche modo, un rapporto umano.
In un articolo di The Conversation, rivista di accademici e giornalisti specializzati, la giornalista Natalie Sauer ha diffuso i risultati di una ricerca condotta su un campione di 387 intervistati statunitensi. L’obiettivo? Stabilire se ChatGPT potesse aiutare a mitigare il senso di alienazione ormai dilagante. Pare infatti che le persone più avvezze all’uso del chatbot si sentissero più supportate dall’IA che dalla loro cerchia di amici – e questa sensazione tenderebbe ad aumentare più i partecipanti si affidano all’Intelligenza Artificiale, in una sorta di circolo vizioso.
Molti investitori hanno dunque visto nell’IA una sorta di frontiera che faccia leva sulle para-relazioni che si possono realizzare con una macchina.
Tra i pionieri ricordiamo Eugenia Kuyda, che nel 2017 aveva lanciato l’app Replika, che offriva un amico virtuale in grado di fornire supporto emotivo agli utenti. Il progetto, rivelatosi un successo, nel 2023 ha steso le basi per Blush, dove l’IA non è più solo un amico virtuale, ma un vero e proprio partner romantico.
Risale a settembre dell’anno scorso la notizia del lancio di 28 nuove «AI personas» da parte di Meta. L’idea è quella di assegnare a ciascuna di esse il volto di personaggi famosi, pur affidando a ogni IA una propria personalità e un nome diverso dalla celebrità presta-volto. È dunque inevitabile che il dialogo con questi chatbot si faccia sempre più umano, giacché ora sarà possibile condividere le proprie esperienze e chiedere consigli a una macchina con un viso umano, così come si farebbe con un amico.

L’idea sottesa, secondo le grandi compagnie tech, è quella di alleviare gli effetti dell’attuale epidemia di solitudine – traendone nel frattempo un non indifferente profitto economico. Il problema è la natura stessa delle IA, che, pur volendo costituire un volto amico, sono ontologicamente programmate per soddisfare i bisogni emotivi dell’user.
Insomma, affidarsi a un confidente come Replika implica ricevere sistematicamente risposte “comode”, e così acquistare un amico virtuale secondo una meccanica transazione monetaria potrebbe privare le persone di quelle abilità sociali che tanto servono per creare legami con altri esseri umani.
Se ci si spoglia dell’intrinseca fragilità che nasce dal rivolgersi a un’altra persona le cui reazioni non si possono controllare, si perde la capacità di prendersi pienamente cura e di conoscere l’altro. Un continuo circolo vizioso che renderebbe così i chatbot la risposta sempre più sicura, in grado di tenere gli utenti nella propria comfort-zone, a discapito di un senso di comunità che sta già via via sparendo.
La domanda, dunque, sorge spontanea: le IA potrebbero davvero costituire un rimedio alla solitudine che sta affliggendo le generazioni più giovani oppure mirano solo a far leva su una crisi sociale pur di ottenere un profitto economico?
Rebecca Isabel Siri
Crediti immagini: Il Post, Game Rant, TooFab
