Comunicazione universale: si può inventare un linguaggio che tutti possano parlare?

Sin dall’alba dei tempi, l’umanità ha costantemente desiderato un mezzo di comunicazione universale, capace di superare le barriere linguistiche e culturali che separano persone, comunità, talvolta anche nazioni. Questo desiderio, radicato nella nostra natura sociale e nella nostra incessante ricerca di connessione, ha generato innumerevoli tentativi e riflessioni sulla possibilità di una lingua universale.
Ma una lingua universale può esistere davvero?

L’essenza stessa del linguaggio umano è stata oggetto di dibattito tra linguisti, filosofi e scienziati per secoli.
Una prima e fondamentale domanda sorge spontanea: il linguaggio è innato o appreso? Noam Chomsky, eminente linguista e cognitivista statunitense, ha proposto l’idea di una grammatica universale, suggerendo che i bambini nascono con una predisposizione innata per riconoscere e apprendere la struttura grammaticale delle lingue. Questa prospettiva solleverebbe interrogativi affascinanti sulle radici della nostra capacità linguistica e sulla sua connessione con la nostra eredità genetica.

Noam Chomsky, linguista, cognitivista, filosofo e professore statunitense


La ricerca della lingua universale non si limita alla teoria linguistica, ma si estende anche alla pratica. Diverse iniziative hanno tentato di creare lingue artificiali o semplificate che potrebbero fungere da ponti tra culture e nazioni. Si parla ad esempio dell’esperanto, creato da Ludwig Zamenhof nel 1887, che è uno dei tentativi più noti di realizzare un linguaggio globale. Concepita come una lingua neutrale e facile da apprendere, l’esperanto ha attratto seguaci in tutto il mondo, a riprova che esiste davvero un desiderio universale di superare le barriere linguistiche.

All’esperanto si sono sommati altri progetti, come il lojban, una lingua logica il cui obiettivo è quello di eliminare le ambiguità linguistiche, o come il globish, incentrato sulla semplificazione e standardizzazione dell’inglese per scopi comunicativi internazionali. Queste lingue semplificate, sebbene non ancora universalmente accettate, rappresentano tentativi di risolvere i problemi pratici della comunicazione interculturale nel mondo moderno.

Tuttavia, la ricerca di una lingua universale non si limita al contesto terrestre. Nell’ambito della ricerca scientifica, si è speculato sulla possibilità di utilizzare il linguaggio matematico o le leggi della fisica come mezzi di comunicazione interspaziali. Concetti come il lincos, una lingua cosmica proposta da Hans Freudenthal, o la comunicazione basata sulla fisica quantistica, aprono nuove prospettive su come potremmo comunicare con civiltà extraterrestri o esplorare il cosmo. Sembra fantascienza, sì, ma cosa c’è di più universale se non la scienza dura della matematica?


Senza però scomodare concetti troppo complessi, che solo una minima frazione della popolazione potrebbe riconoscere e comprendere, non bisogna dimenticarsi della comunicazione non verbale. Si parla di qualunque simbolo, dai pittogrammi e alle emoji – sempre più diffuse sui social, esse offrono un mezzo di espressione universale che supera le barriere linguistiche. Queste nuove forme di comunicazione visiva potrebbero rappresentare una via verso una lingua comune per l’umanità nel futuro digitale.

In concreto, però, la ricerca della lingua universale rimane una sfida titanica, intrisa di complessità e incertezza. Le lingue umane sono intrinsecamente legate alla cultura, alla storia e all’identità di un popolo, e la loro diversità è un riflesso della ricchezza e della complessità dell’esperienza umana.
Ricercare una lingua universale – per quanto utile e tempestiva – implicherebbe un grado elevatissimo di omologazione delle differenze, quando talvolta si dovrebbe solo cercare di celebrare e preservare la diversità linguistica in quanto patrimonio condiviso dell’umanità.

Rebecca Isabel Siri

Crediti immagini: Università di Parma, Civilek Info, Koezing Boos

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