Dall’insediamento del governo Meloni, il dibattito pubblico del nostro paese si è spesso interrogato sulla possibilità di una deriva fascista da parte dell’esecutivo di destra. Sin dalla presentazione della lista, il Partito Democratico e le altre forze cosiddette progressiste avevano avvertito del possibile pericolo posto da un possibile governo a guida Lega-FDI-FI, fondando buona parte della loro campagna elettorale sull’essere l’unico “argine al fascismo” contro l’estrema destra.
Dal reggimento Bozen delle SS, colpito dell’azione GAP in via Rasella, etichettato dal presidente del senato Ignazio La Russa come «una banda musicale di semipensionati», alle dichiarazioni del Ministro Lollobrigida sulla «sostituzione etnica» che sarebbe in atto in Italia, dalla censura al monologo di Antonio Scurati e la denuncia del professor Luciano Canfora, alle confuse dichiarazioni sul 25 aprile, tra cui figurano anche quelle della premier stessa, ai saluti romani tollerati quando si tratta della commemorazione di defunti, è quasi impossibile non domandarsi se esiste la possibilità di una svolta fascista in Italia. Del resto il nostro governo manifesta una diffusa incapacità nel definirsi “antifascista”, se non giustapponendo un formulare “anticomunista” subito dopo. E se l’opposizione tuona contro il pericolo fascista che la destra rappresenta, quest’ultima risponde dicendo che il fascismo è l’ossessione di una sinistra ancora legata al passato e che in Italia «non c’è pericolo fascista, né una deriva violenta e autoritaria».
Secondo la destra il problema non si pone: il fascismo è cosa morta e sepolta. Chiunque pensi il contrario vivrebbe fuori dal mondo e dalla nostra epoca: definirsi “antifascisti”, ormai, sarebbe anacronistico, e la paura del “pericolo fascista” sarebbe la strategia che usa una sinistra ormai allo stremo per raccogliere il voto di qualche nostalgico. Gli avversari politici, al contrario, sostengono che il pericolo fascista, più incombente che mai, è sempre in agguato, pronto a colpire nel momento in cui si abbassa la guardia.
La vulgata comune che vede il fascismo come un male sconfitto, sempre in agguato ma troppo debole per fare altro se non aspettare il momento giusto per colpire di sorpresa, è una visione suggestiva che però non tiene conto dei processi storici e dei rapporti di forza tra le parti sociali del nostro Paese e all’estero. Il 25 aprile il “fascismo di facciata” è effettivamente caduto. Quello istituzionale, tuttavia, è sopravvissuto, saldandosi alla neonata Repubblica e creando una certa continuità legislativa, morale, scolastica, culturale, economica, religiosa, del personale burocratico-amministrativo. A questo si aggiunge il progressivo smantellamento del carattere rivoluzionario, progressivo e democratico della Liberazione, ormai diventata innocuo rituale civile, nonostante i proclami di piazza portati avanti. Questa revisione altro non è che il frutto di una pace sociale all’epoca considerata necessaria per la ricostruzione di un Paese ferito e distrutto.
Inoltre, non dobbiamo pensare che l’Italia sia l’unico paese dove soffiano i venti della reazione. Ungheria, Francia, Svezia, Austria, Germania, sono solo alcuni dei paesi dove l’estrema destra è una delle forze maggiori, se non quella trainante, in parlamento o al governo. I sondaggi delle elezioni europee vedono l’estrema destra quasi al 30%, con uno storico sorpasso in Germania: il partito di estrema destra Alternative für Deutchland potrebbe superare il partito social-democratico. Questi risultati sono quindi indice di un clima diffuso anche a livello internazionale, di un fenomeno molto più radicato, non circoscrivibile alla sola Italia, che investe quasi totalmente il continente europeo, e il forte momento di crisi delle forze cosiddette progressiste ne è prova.
In Italia, alla pacificazione e revisione del 25 aprile e della Resistenza, agli “italiani brava gente” e all’arretramento del movimento dei lavoratori e della sinistra, è corrisposto l’attacco sempre più serrato da parte della destra, accompagnato dal crescente sdoganamento delle sue idee più estreme attraverso operazioni simpatia, spinte da media e giornalisti, insieme a una legittimazione sul piano culturale e ideologico e una tolleranza sempre più evidente di ideali reazionari e fascisti.
Questo è il contesto in cui opera il governo attuale. Tuttavia, il clima reazionario e autoritario che si respira in Italia non basta né a definire il governo di Giorgia Meloni un governo fascista, né a temere per la tenuta democratica del paese. Non si discutono le evidenti simpatie mal celate e una certa nostalgia per il Ventennio che la premier e il suo partito, nonostante le operazioni di pulizia, non riescono a scrollarsi di dosso. In più, il fascismo in Italia nacque in un momento molto preciso: l’eclettica ideologia fascista si forma in un clima di malcontento generale, durante e alla fine della Prima Guerra Mondiale, accentrando su di sé un insieme di idee e ideali estremamente eterogenei e diversi tra di loro, in una fase di acuto scontro tra le forze protagoniste del conflitto di classe, dove la borghesia, per tutelare i propri interessi, si trova costretta a liquidare la forma parlamentare. Ad oggi, non esistono in Italia le condizioni oggettive per temere un’imminente deriva fascista: gli interessi delle grande industrie sono totalmente tutelati sotto il governo Meloni e manca una vera forza di opposizione che possa metterli in discussione e difficoltà.
Quello che effettivamente possiamo osservare oggi in Italia è il progressivo accentrarsi del potere legislativo nelle mani dell’esecutivo di governo: la tendenza a legiferare tramite decreti-legge, i decreti in materia di sciopero e repressione, l’autonomia differenziata, e la proposta di riforma costituzionale sul premierato e sul premio di maggioranza sono tutti indizi di un processo, iniziato ormai qualche anno fa, volto a garantire una maggiore stabilità al partito di governo al fine di evitare scaramucce di partito che, esplodendo, possano mettere in crisi il potere dell’esecutivo.
Affermare però che in questo momento non esiste il pericolo di una svolta fascista non vuol dire certo ignorare o minimizzare le svolte autoritarie, oscurantiste e reazionarie dell’esecutivo che ci governa: è del tutto naturale che gli attacchi al diritto all’aborto, la diffusa intolleranza omobitransfobica, xenofoba e razzista, il coinvolgimento sempre più attivo negli scenari di guerra, la repressione del dissenso, la censura, gli attacchi ai diritti sociali destino preoccupazione. Al contrario, vuol dire riconoscere la strumentalizzazione dell’antifascismo che alcuni partiti attuano a fini elettorali, visto il progressivo avvicinarsi degli indirizzi politici, strategici e della politica internazionale di destra e sinistra, e combatterla opponendo quello che fu il vero significato della Resistenza: la lotta per un mondo nuovo, libero dal giogo dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per un rinnovamento totale delle strutture portanti della società, e non certo per un mero ritorno alle istituzioni e alla struttura prefasciste, che il fascismo avevano tollerato, accettato e protetto. In ultimo, vuol dire rimanere vigili e costanti: perché se oggi non esistono le condizioni oggettive per un ritorno al fascismo, non è detto che non sia così domani.
Erica Bonanno
