Circe nella letteratura arcaica è per antonomasia la famigerata e malvagia incantatrice, la dea che nell’Odissea usa unguenti e pozioni per trasformare a colpi di bacchetta i suoi ospiti riducendoli in un branco di creature smemorate.
Figlia di Helios, la divinità del Sole, e della ninfa Perseide, proprio per questa sua genealogia la maga ha una natura liminale, divina e contemporaneamente ibrida, parzialmente sbilanciata verso l’umano.
Divisa tra mondo umano e mondo divino, è un personaggio che inevitabilmente non può che essere stato trattato, nel corso dei secoli, in maniera articolata.
Nell’Odissea si presenta come una potente maga che vive sull’isola di Eea in una foresta, circondata da animali feroci che sono, in realtà, uomini che lei stessa ha soggiogato con incantesimi.
L’episodio dell’incontro con Circe si trova collocato all’interno della lunga sequenza che raccoglie le peripezie di Odisseo, che si trova ad affrontare il Ciclope, i Lestrigoni, Eolo, la discesa nell’Ade, le Sirene, Scilla e Cariddi.
I versi omerici appaiono un tributo alla tradizione secondo la quale Circe tramutava i suoi ospiti in bestie di vario tipo e li teneva, così ridotti, al proprio servizio a palazzo. E ciò è successo anche agli eroi del nostos omerico che, una volta giunti fuori dalle mura del palazzo, attirano l’attenzione della maga.
Ella li fa accomodare, ma la sua accoglienza è tutta un tranello: la dea offre una bevanda alla quale aggiunge principi attivi rovinosi capaci di indurre uno stato di oblio.
Una volta bevuto l’intruglio infatti, i compagni improvvisamente non ricordano nulla: chi sono e da dove vengono, come mai si trovano nel palazzo, quale è l’obiettivo del loro viaggio.
A quel punto Circe li colpisce con la sua verga e li rinchiude tutti in un recinto per maiali. E dei maiali i compagni hanno nel frattempo anche assunto l’aspetto: muso, peli e voce.
A seguito dell’incontro con Odisseo però, la maga e l’eroe intrecciano un legame d’amore; sarà proprio questo a fare in modo che la dea temibile, esperta di filtri e di inganni, non risulti più ostile. Non solo libererà i compagni di Odisseo, ma proprio in nome di quel legame insopprimibile sarà lei a mettere in guardia gli eroi dai pericoli successivi e a proteggerli mandando un vento a favore del proseguimento del viaggio.
Successivamente alla versione omerica, Ovidio nelle sue Metamorfosi non poteva certo dimenticarsi di presentare Circe, la maga-trasformatrice per eccellenza.
Un episodio vede la bella maga accendersi d’amore per Glauco, un giovane pescatore che si è visto un giorno trasformare in un dio marino a seguito di un’erba prodigiosa che aveva ingerito.
Non si tratta però di una passione ricambiata: il cuore di lui appartiene a Scilla.
La dea non riesce a incassare il colpo e nemmeno a desiderare il male di colui che ama.
Rivolge piuttosto la sua rabbia verso la rivale, colei che le viene preferita. La decisione è subitanea: prende le erbe di cui è signora, si reca alle acque dove la ragazza è solita bagnarsi e le infetta con i suoi veleni ricavati da una radice micidiale.
Il corpo di Scilla viene mutato per sempre: fieramente virginale, ha come condanna di non poter mai sfuggire ai cani che violano le sue parti intime. Rimane lì quindi, in mezzo a quella furia di bestie che han preso il posto delle sue membra inferiori mutilate.
Scilla rimase fra i flutti a nutrire il suo odio inestinguibile, e appena ebbe occasione sferrò la sua vendetta: quando, tempo dopo, passò di lì la nave di Odisseo di ritorno dall’avventura con Circe, ne decimò la ciurma.
Circe non deve essere semplicemente buona o cattiva, una sfumatura che è stata in gran parte persa nei secoli a venire.
Il suo è uno statuto speciale: quello di divinità dotata di una natura tale da consentirle di entrare in contatto diretto con l’umanità, senza distruggerne necessariamente le facoltà sensoriali o cognitive, e soprattutto con tutto il bagaglio di passioni, gelosie, turbamenti e angosce che questa vicinanza comporta.
È ambivalente come gli unguenti, i pharmaka, di cui è abile preparatrice: è una figura cangiante, parzialmente maligna e parzialmente benigna, che trasforma e si trasforma, che droga e poi rivivifica, umilia ed esalta, intralcia e aiuta, trattiene e accompagna.
Greta Sberna
Fonte immagine di copertina: Canva
