Nell’era della connessione permanente, uno dei temi che più preoccupa studiosi, scienziati e cittadini riguarda il modo in cui Internet e i social media influenzano la nostra capacità di attenzione. A chiunque sarà capitato, almeno una volta, di rendersi conto di essere più distratto di qualche anno fa: oggigiorno si ricercano costantemente nuovi stimoli, e così non risulta neanche tanto strano consumare più media alla volta.
Ma quindi ci troviamo davvero di fronte a una crisi dell’attenzione umana, o si tratta di un adattamento inevitabile al sovraccarico di informazioni che caratterizza il mondo moderno? E se sì, cosa possiamo fare per difendere uno dei nostri beni più preziosi: la capacità di concentrarci?

La capacità di prestare attenzione – secondo numerosi studiosi, primo tra tutti Herbert Simon, psicologo e economista statunitense – è uno dei beni più grandi che l’essere umano possa possedere. Simon stesso, negli anni ’70, metteva in evidenza come l’eccesso di informazioni possa impoverire la nostra capacità di concentrazione e, di conseguenza, porci in una posizione di svantaggio.
Le piattaforme che usiamo quotidianamente – da Facebook a Instagram, ultimo tra tutti TikTok – operano con l’obiettivo di mantenere la nostra attenzione il più a lungo possibile, utilizzando tecniche sofisticate che sfruttano le nostre vulnerabilità psicologiche. Il format più gettonato, di fatti, è il video di una manciata di secondi: i content creator devono essere in grado di stuzzicare la nostra curiosità nei primi attimi, pena perdersi nel grande mare dei social. Non è un caso, quindi, che più tempo trascorriamo sui social, più contribuiamo a un sistema che sta ridefinendo le nostre relazioni con il tempo, lo spazio e le persone.
Uno dei punti centrali nel dibattito sull’influenza di Internet è l’idea che la nostra capacità di concentrazione stia diminuendo drasticamente. Un recente studio condotto da Microsoft ha esaminato l’attività cerebrale di un gruppo di partecipanti, evidenziando che, se da un lato siamo diventati più abili nel multitasking, dall’altro la nostra capacità di mantenere l’attenzione su un singolo compito è diminuita.
La diminuzione della soglia dell’attenzione tra mito e realtà
Questa scoperta si inserisce in un dibattito più ampio sull’effetto delle piattaforme digitali sulla nostra mente. I social media, con i loro messaggi brevi e immediati, sembrano incoraggiare un tipo di attenzione frammentata, in cui ci muoviamo rapidamente da un contenuto all’altro senza soffermarci troppo a lungo su nulla. Video brevi, post concisi e immagini veloci sono diventati i mezzi principali attraverso cui comunichiamo e ci informiamo. Ma questo nuovo modo di interagire con le informazioni sta davvero erodendo la nostra capacità di concentrazione?
Un altro aspetto interessante del dibattito è la diffusione di false statistiche che alimentano la convinzione che stiamo perdendo la capacità di concentrarci. Una delle più popolari è quella che paragona la nostra soglia di attenzione a quella di un pesce rosso, affermando che nel 2000 eravamo in grado di concentrarci per circa 12 secondi, mentre nel 2015 la media era scesa a 8 secondi. Il pesce rosso, secondo questa narrazione, avrebbe mantenuto una soglia stabile di 9,2 secondi.
Esiste una vasta letteratura che analizza l’origine di questo mito, dimostrando che si tratta di una leggenda alimentata da false statistiche, simile alla credenza secondo cui usiamo solo il 10% del nostro cervello. Questo tipo di narrazioni fa leva su un bias retrospettivo che ci porta a credere più facilmente di aver perso qualcosa rispetto al passato, piuttosto che di aver guadagnato nuove capacità.
Nonostante le preoccupazioni crescenti, alcuni esperti offrono una visione più ottimistica del futuro. Bruce Morton, ricercatore presso il Brain & Mind Institute della University of Western Ontario, sostiene che il nostro cervello non sia in declino, ma stia semplicemente cercando di adattarsi al nuovo contesto informativo in cui si trova. Secondo Morton, la crescente quantità di informazioni a cui siamo esposti richiede un processo di adattamento, in cui il cervello impara a gestire gli stimoli in modo più efficiente. In altre parole, potremmo essere in una fase di “allenamento cognitivo”, in cui stiamo sviluppando nuove capacità per rispondere alla sfida della digitalizzazione.
Questa prospettiva ci invita a considerare l’evoluzione della nostra attenzione non come un inevitabile declino, ma come un processo di trasformazione. Tuttavia, rimane la questione di come equilibrare questo adattamento con la necessità di mantenere una concentrazione profonda, soprattutto in un mondo dove la distrazione è sempre dietro l’angolo.

La domanda centrale rimane: Internet sta davvero abbassando la nostra soglia di attenzione? Le risposte non sono semplici, poiché il mondo digitale presenta sfide ma anche opportunità. Da un lato, è evidente che le piattaforme online stiano sfruttando la nostra attenzione a scopi commerciali, portando a una frammentazione delle nostre abitudini cognitive. Dall’altro, vi è la possibilità che il nostro cervello si stia adattando a un ambiente nuovo e complesso, sviluppando capacità inedite per far fronte al sovraccarico di informazioni.
Crediti immagini: pixabay

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