Dall’inizio di questo millennio a oggi, i social network hanno seguito una continua evoluzione. Nel 2024, essi non solo fanno parte della nostra quotidianità, ma contribuiscono anche a plasmarla: infatti, i social hanno causato degli importanti cambiamenti nel modo in cui ci informiamo, condividiamo le nostre esperienze e, soprattutto, ci relazioniamo e connettiamo agli altri. In un certo senso, ci hanno anche illusi di poter sconfiggere la noia: quanti di voi, durante una pausa pranzo solitaria o in coda alle Poste, non hanno mai iniziato a scorrere la bacheca di Instagram o di Facebook, in cerca di un contenuto interessante?
Purtroppo, però, vi sarà sicuramente capitato di imbattervi in post di attualità stracolmi di commenti negativi, in discussioni tra utenti tutt’altro che costruttive e in attacchi discriminatori rivolti a una persona-obiettivo specifica. Questi comportamenti aggressivi rientrano nell’ampio fenomeno dell’odio online, sempre più diffuso e difficile da estirpare dalle piattaforme social.
Diversi modi di odiare…
L’odio online può essere distinto in diversi tipi, ma a volte i termini possono essere sovrapponibili. Tra i più diffusi ci sono:
- hate speech, cioè un insieme di espressioni d’odio rivolte a un’intera fascia della popolazione. Secondo l’Osservatorio italiano sui diritti, in base a una rilevazione avvenuta nel 2022 nel nostro Paese, le donne sono la categoria più colpita dall’hate speech (43,21%), seguite da persone con disabilità (33,95%), persone omosessuali (8,78%), migranti (7,33%), ebrei (6,58%) e musulmani (0,15%). Anche online, i gruppi più discriminati nella società pagano il prezzo più alto;
- shitstorm, letteralmente “tempesta di feci”, ossia un’improvvisa e violenta esplosione di offese ai danni di una persona, un’organizzazione o un’azienda. Di solito, una shitstorm è innescata da un fatto di cronaca che diventa virale ed è spesso sostenuta dalla diffusione di fake news, come nel caso degli attacchi sessisti che sono stati rivolti (anche da personaggi influenti, come Elon Musk e JK Rowling) alla pugile algerina Imane Khelif durante le Olimpiadi di Parigi;
- cyberbullismo, forse il termine più conosciuto, che indica un comportamento “da bullo” attraverso la rete internet. Spesso viene perpetrato contro una vittima giovane da parte di bulli che la conoscono anche nella vita reale, con lo scopo di umiliarla e di isolarla dal resto del gruppo.
…stesse conseguenze pericolose
Le vittime di odio online, in qualunque forma venga subito, possono sperimentare molte conseguenze psicologiche negative: bassa autostima, isolamento, sintomi depressivi, angoscia, fobie e ritiro sociale.
Inoltre, la normalizzazione di questo fenomeno può incentivare i leoni da tastiera a compiere atti violenti e discriminatori anche offline.
A livello sociale, l’odio online contribuisce ad alimentare la diffusione di disinformazione e di polarizzazione, impedendo un dialogo reale tra persone in contrasto tra loro.
Perché è facile odiare online?
Sono molti i fattori psicologici che potrebbero spiegare il perché sia più facile diffondere messaggi d’odio nella vita online, anziché faccia a faccia.
Innanzitutto, il (presunto) anonimato fa credere agli utenti di essere più al sicuro, portandoli a separare la dimensione online da quella offline. Questa condizione favorisce l’emergere di comportamenti antisociali anche da parte di persone che nella “vita reale” non li metterebbero mai in atto. Si tratta del cosiddetto Online disinhibition effect, descritto da Suler nel 2004.
Inoltre, il filtro dello schermo potrebbe provocare nell’hater una mancanza di rispecchiamento empatico con la vittima. In altre parole, la distanza fisica tra le persone spesso diventa anche emotiva, facendo credere a chi diffonde messaggi d’odio di essere meno colpevole e meno responsabile delle sue azioni.
Un altro fattore, invece, riguarda direttamente il modo in cui sono stati progettati i social network: si tratta dell’effetto della “bolla di filtraggio”. Grazie alle tracce che lasciamo quotidianamente online (come la nostra cronologia su Google), gli algoritmi dei social tendono a proporci solamente i contenuti che potrebbero essere in linea con le nostre opinioni e i nostri interessi. Così, quando ci imbattiamo in contenuti distanti dalla nostra visione del mondo, veniamo travolti da un senso di disagio, con conseguente aumento dell’aggressività verso gli altri utenti.
È possibile combattere l’odio online?
Non esiste un’unica soluzione a un problema così complesso, ma possono essere adottate delle strategie utili a contrastare l’odio online, sia a livello collettivo che a livello individuale.
In primo luogo, è necessario che le piattaforme social investano sempre di più nella moderazione dei contenuti di cui ci nutriamo ogni giorno, al fine di rendere il web un posto un po’ più sicuro.
Esistono poi delle vere e proprie campagne di contrasto all’odio online, come quelle promosse da Amnesty International, con lo scopo di analizzare il problema e contemporaneamente di educare e sensibilizzare specialmente i più giovani.
Noi, invece, cosa possiamo fare? Quando ci troviamo di fronte a un commento violento, anziché ignorarlo, possiamo ricorrere a una segnalazione, affinché venga analizzato e rimosso dalla piattaforma. Ma, soprattutto, è fondamentale impegnarsi a non alimentare ulteriormente il circolo dell’odio, evitando di rispondere con aggressività all’aggressività.
Tutto ciò può essere riassunto in una semplice regola, cantata da Ghali nella sua Cara Italia:
prima di lasciare un commento, pensa.
Ilaria Vicentini
Fonti: http://www.voxdiritti.it/la-nuova-mappa-dellintolleranza-7/
https://www.serenis.it/articoli/odio-digitale-hate-speech-e-shitstorm-cosa-sono-e-come-affrontarli/
https://www.geopop.it/perche-le-discussioni-sui-social-diventano-aggressive-limpatto-dellanonimato-sul-comportamento/
https://www.amnesty.it/campagne/contrasto-allhate-speech-online/
Crediti foto in evidenza: https://it.pinterest.com/pin/1120763057260433071/
