
Il Novecento è stato spesso definito secolo dei consumi, in quanto caratterizzato dal diffondersi di un modello economico-sociale che prende, appunto, il nome di consumismo, reso possibile dalle innovazioni introdotte durante la rivoluzione industriale che ha avuto luogo a fine XIX secolo.
Fra queste rientra, innanzitutto, l’applicazione del modello taylorista-fordista, il quale prevedeva la divisione del lavoro e l’impiego della catena di montaggio, che determinò la standardizzazione della produzione, processo che divenne perciò meno costoso, rendendo i beni prodotti accessibili ad un numero sempre crescente di individui.
Gli Stati Uniti degli anni ‘20 rappresentarono, per primi, la massima espressione del nuovo stile di vita, conseguenza di un’enorme crescita economica: aumentò esponenzialmente la produzione di acciaio, petrolio, energia elettrica e beni durevoli. Nel frattempo si diffondevano automobili, radio, televisori, elettrodomestici; le città erano illuminate e i grattacieli iniziavano a modificarne la fisionomia.
Nell’Europa occidentale la società dei consumi si diffuse, grazie al piano Marshall, nel secondo dopoguerra: in Italia il boom economico, registrato tra anni Cinquanta e primi anni Sessanta, fu favorito dalla ripresa economica internazionale, dall’utilizzo di nuove fonti energetiche (in primis il petrolio acquistato dai Paesi Arabi) e dall’adesione alla Comunità Economica Europea.
Tale tendenza si arrestò a livello mondiale nel 1973 (fine dell’Età dell’oro), quando, a seguito della guerra del Kippur, i paesi importatori di petrolio risentirono drammaticamente della crisi energetica, determinata dall’aumento del prezzo del greggio.
Gli effetti della crisi degli anni 70 furono aggravati da quella del 2008, causata dal crollo del mercato immobiliare statunitense, che ebbe come conseguenze l’aumento della disoccupazione, la stagnazione economica, la crescita dell’inflazione e, inevitabilmente, il ridimensionamento dei consumi.
L’Italia fu uno dei paesi maggiormente colpiti, in quanto il sistema economico del paese verteva in uno stato di grave difficoltà dai primi anni Duemila, a causa dell’arretratezza, oltre che dell’assenza di riforme per incrementare la competitività e far fronte agli effetti della globalizzazione.
Successivamente, la reazione dell’economia italiana alle condizioni determinate dalla pandemia, trainata soprattutto dal “Superbonus” edilizio, ha consentito al paese di raggiungere il livello di crescita del 2008, prima del crollo, ma lo sviluppo a cui si è assistito negli anni Cinquanta non si è mai più riproposto.
Nonostante il progressivo recesso, l’assenza di misura nei consumi ha continuato a caratterizzare le aree più industrializzate del paese e in particolare i ceti medio-alti della popolazione, almeno fino a qualche anno fa.
Oggi la tendenza risulta invertita: è quanto emerge dal Rapporto Coop 2024, i cui dati testimoniano il percorso intrapreso dagli italiani nella direzione del de-consumismo, che consiste in un nuovo atteggiamento di lucidità e razionalità nella gestione degli acquisti.
“Risparmio” è la parola d’ordine, in quanto rappresenta il criterio di scelta principale per il 75% del campione: in ambito tecnologico, per esempio, si prediligono dispositivi ricondizionati o usati, ragion per cui il mercato del tech di seconda mano è in notevole espansione, con un tasso di vendite aumentato del 30% negli ultimi dodici mesi.
In generale, si è propensi al riciclo e riutilizzo: condotta determinata, oltre che dalla volontà di ridurre le spese, anche da ragioni legate a una rinnovata coscienza ambientale, la quale si manifesta in scelte come l’adozione di uno stile di vita più sostenibile e la richiesta di prodotti che rispettino determinati standard etici ed ecologici.
Le nuove generazioni si mostrano più sensibili alla questione ambientale: l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, l’inquinamento e il cambiamento climatico, determinati proprio dall’affermarsi della società dei consumi nel secolo scorso, si impongono ora come un’emergenza a cui è necessario far fronte con ogni mezzo, e il de-consumismo è uno di questi.
La sostenibilità risulta, infatti, prioritaria nel processo d’acquisto. Ssono sempre di più gli italiani che analizzano con attenzione le certificazioni ambientali e le pratiche di produzione delle aziende; di conseguenza, i marchi dimostrano un crescente impegno nell’offrire prodotti realizzati con materiali riciclati o a impatto ambientale ridotto, guadagnando consensi tra i consumatori.
A dimostrare la propensione a stili di vita eticamente consapevoli è la quota di vegani, raddoppiata in un anno: nel 2024 il 22% degli italiani ha eliminato o ridotto il consumo di carne e l’’85% dei giovani (fascia 17-35 anni) dichiara di aspirare ad una dieta a base prevalentemente vegetale.
Infine, risulta in crescita anche il mercato del biologico non soltanto dal punto di vista alimentare, ma anche per quanto riguarda i prodotti per la casa e per la cura personale. I prodotti bio forniscono una serie di garanzie che risultano di primaria importanza per i nuovi consumatori, tra cui l’assenza di sostanze chimiche di sintesi, il rispetto per l’ambiente, il benessere degli animali d’allevamento e la sostenibilità.
Gaia Romano
