Meglio il libro! Un discorso sugli adattamenti

Gli adattamenti sono una parte essenziale della nostra cultura. 

La maggior parte dei nostri film e serie TV preferite, infatti, non sono storie completamente originali, ma sono derivate da romanzi, racconti o altri prodotti culturali nati sulla carta o su palchi vittoriani. 

A volte sono palesi, altre volte sono “nascosti”.

Per esempio, il Re Leone. Grande classico d’animazione Disney datato 1994, ha fatto ridere, cantare e piangere generazioni di grandi e piccini. Ma in quanti sanno che la trama è fortemente ispirata e riadattata dall’Amleto di William Shakespeare

Può sembrare strano pensare a come un film musicale su animali della savana prenda come diretta ispirazione una violentissima opera teatrale del Quindicesimo secolo. 

Però non è l’unico caso. Gli adattamenti, infatti, esistono più o meno da quando esiste la parola scritta, o forse ancora più antichi

Le tragedie greche erano ispirate dalla mitologia e dall’epica, le Troiane di Euripide (451 a.C) si può dire l’antenato di Troy (2004), e, per saltare a qualche secolo dopo, si può parlare di Romeo e Giulietta come adattamento rinascimentale del mito ovidiano di Piramo e Tisbe

Il professore Massimo Fusillo, nella sua introduzione a Letterature Comparate (Carocci Editore, 2020), parla di homo adaptans per indicare la natura umana di reimmaginare lavori già esistenti in altri media. 

Però, a volte non tutti sono contenti con questi rifacimenti. Soprattutto nella nostra epoca, dove permea il cinema e la serialità televisiva. 

Ma cosa rende un adattamento buono o cattivo? Almeno in teoria? 

Ci possono essere tre linee di pensiero, che si basano su diversi livelli di fedeltà all’opera originale: fedeltà sia nell’ambientazione che nella trama che nei temi, fedeltà alla trama e temi, fedeltà ai temi. 

Ovviamente, ci sono opere che si prestano meglio a diversi livelli di fedeltà rispetto ad altri. 

Per esempio, un grande classico della letteratura canonica occidentale come I Miserabili di Victor Hugo ha sempre dato molti problemi negli adattamenti cinematografici. 

Prendiamo uno dei suoi adattamenti più famosi, il film tratto a sua volta dal musical del 1980 (portato a Broadway solo nel 1985), ovvero Les Misérables (2012, diretto da Tom Hooper). Questo adattamento viene considerato nei circoli di appassionati un pessimo adattamento, perché non rende completamente tutta la complessità della trama, anzi andando in alcuni punti a minimizzare e quasi romanticizzare gli eventi tragici, nonostante l’accuratezza storica e il casting, secondo alcuni, perfetto.  

Sempre prendendo in esame I Miserabili, la miniserie targata BBC del 2018 è considerata d’altro canto decisamente migliore, poiché riesce ad allargare la trama, ad includere anche “sottotrame” spesso ignorate dalle trasposizioni e a rendere giustizia alle tematiche delicate. 

Pertanto, nel caso di romanzi così mastodontici e amati, il consensus sembrerebbe essere un secco “non vogliamo film, vogliamo miniserie!”, in modo da soddisfare sia chi cerca di capirci qualcosa delle duemila trame legate tra di loro per migliorare l’esperienza di lettura, sia chi sa il libro a memoria e vuole goderselo sullo schermo senza perderne i dettagli e chi vuole passare un esame di letteratura francese senza aprire quel mattone. 

Sempre restando sulla letteratura canonica per parlare della seconda scuola di pensiero, ovvero “deve restare la trama e i temi, il resto carta bianca”, prenderemo in esame due ottimi esempi di letteratura considerata “leggera”: l’adattamento di Emma (Jane Austen, 1815), Clueless (1995) e il primo romanzo della fortunata serie con protagonista Sherlock Holmes, Uno Studio in Rosso (1887, Arthur Conan Doyle), adattato nel 2010 da Uno Studio in Rosa, primo episodio della serie TV Sherlock

Entrambi gli adattamenti sono ambientati nei rispettivi anni di uscita, quindi in chiave moderna, ed entrambi sono considerati adattamenti geniali perché nonostante il cambio d’epoca e di contesto riescono a mantenere il “cuore” dell’opera originale, nel primo caso l’originalità e le dinamiche dei personaggi e nel secondo il mistero dietro agli omicidi. 

Per la terza scuola di pensiero, si può spaziare in molti modi, dato che l’unico criterio è il mantenimento dei temi cardine della narrazione. 

I due esempi che verranno portati sono uno positivo e uno negativo: il primo è The Haunting of Hill House (2018), tratto dal romanzo di Shirley Jackson dello stesso nome (1958); mentre il secondo è Death Note (2017), tratto dall’omonimo manga di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata (2003-2007). 

Entrambi sono di genere horror, ma mentre il primo riesce a rendere il materiale di provenienza (già profondamente ricco di temi e simbolismo) un’opera corale, aggiungendo temi quali il lutto, il rimpianto e complicate relazioni familiari in una storia di fantasmi che non può far altro che lasciare a bocca aperta dall’inizio alla fine, il secondo prende un’opera complessa, una critica ai mali della società quali il privilegio maschile di classe agiata e l’abuso di potere, rendendola un banale film horror splatter per adolescenti, eliminando ogni spessore tematico e non attuando nessuna modifica che sarebbe dovuta esserci stato nel caso di una diversa ambientazione rispetto all’opera originale (il manga è ambientato in Giappone, il film in una scuola superiore statunitense). 

Nonostante queste categorizzazioni ed esempi, tuttavia, è importante capire che la bellezza e la riuscita di un adattamento va valutata anzitutto su un parametro personale

L’adattamento deve, al suo centro, dare nuova vita ad un prodotto, far sì che dia emozioni simili e differenti allo stesso tempo su un’opera, facendo ragionare lo spettatore. Ridare vita, in un certo senso.  Alcuni lo fanno oggettivamente (nel senso cinematografico, di scrittura e tematico) meglio di altri, ma sta allo spettatore e appassionato decidere se l’adattamento lo soddisfa. 

Un adattamento, come già visto, non deve seguire passo passo l’opera originale per essere valido. Questo fenomeno si vede molto in cerchie di appassionati di franchise letterari molto amati, quali Il Signore degli Anelli o Harry Potter, ma bisogna anzitutto capire che il linguaggio del cinema è ontologicamente diverso da quello della letteratura. Quindi, per concludere con una massima latina: de gustibus non est disputandum.

Sole Dalmoro

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Avatar di wwayne wwayne ha detto:

    Tra i film tratti da un libro il migliore è senza dubbio questo: https://wwayne.wordpress.com/2019/06/01/in-viaggio-verso-te/. L’hai visto?

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