E se la vita fosse solo un sogno
Cosa sarebbe la realtà?
Questa è la domanda che si pone Il Solito Dandy – all’anagrafe Fabrizio Longobardi – nel brano Casablanca Turandot e che rappresenta il filo conduttore della sua visione artistica capace di creare nuove dimensioni, dove l’ordinario si mescola allo straordinario e all’imprevedibilità.
Non è un caso se il cantautore torinese, classe 1993, classificatosi terzo a X Factor nel 2023, definisce il suo ultimo album SESINEPÀ! come un impredisco, ovvero un progetto musicale “un po’ sulle nuvole”, che permette di accettare gli inevitabili imprevisti della vita.
In un freddo pomeriggio di fine febbraio, proprio sul lungo Po, che è stato d’ispirazione per la sua musica, noi di The Password abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con Il Solito Dandy, al quale rinnoviamo i nostri ringraziamenti per aver accolto con entusiasmo questa intervista.
Ecco che cosa ci ha raccontato.
Quali sono le principali tappe della tua vita che ti hanno portato a fare musica?
Possiamo dire che io sono cascato dentro la musica. Già da piccolo trovavo nell’arte, in particolare nella pittura, una via di evasione. Mio nonno dipingeva e, anche grazie a lui, ho capito che, in un mondo che in qualche maniera mi urtava, l’arte mi avrebbe permesso di creare una realtà tutta mia e di inventare qualcosa che mi rappresentasse davvero.
Il primo vero incontro con la musica è avvenuto grazie a mia mamma, fanatica del rock ‘n’ roll degli Who, che la sera prima del mio esame di terza media ha portato me e mia sorella al loro concerto all’Arena di Verona. L’esibizione è stata abbastanza disastrosa, perché la pioggia ha causato un sacco di problemi tecnici, ma mi ha permesso di rendermi conto di cosa fossero davvero la musica e il suo potere creativo. Così sono diventato un grande fan di Pete Townshend, chitarrista e compositore degli Who, mi sono fatto regalare una chitarra elettrica e da lì ho iniziato a giocare con la musica.
In seguito sono arrivate le varie band al liceo, quelle che di solito si sciolgono perché un membro del gruppo ha la ragazza e non ha più tempo. Poi da lì ho intrapreso un percorso cantautorale.
Hai uno stile ben riconoscibile, tra l’onirico e il surrealismo. Quali sono le tue ispirazioni, musicali o provenienti da altre forme d’arte?
Sicuramente l’arte visiva, il cinema specialmente, ha ispirato molto la mia musica. Penso a quei viaggi mentali che tutti facciamo quando abbiamo le cuffiette nelle orecchie e guardiamo fuori dal finestrino, perché la musica ha anche il potere di farci visualizzare delle immagini. Tra i grandi artisti, Fellini, Rodari, Dalla, Calvino e Jodorowsky sono le mie stelle polari, perché rappresentano un mondo sognante che rende possibile viaggiare e sorprendersi della realtà stessa.
Spesso parli dell’importanza della gentilezza nelle tue canzoni. Secondo te, essere gentili è la vera rivoluzione al giorno d’oggi?
Io credo di sì. Penso che, al giorno d’oggi, sia rivoluzionario essere gentili ed empatici, riuscire a immedesimarsi negli altri e voler costruire un mondo non aggressivo. In un mondo fatto di apparenza, di persone che si scannano pur di brillare più degli altri, molto spesso sono proprio quelle che non vogliono primeggiare, quelle più silenziose e che si prendono cura degli altri, ad avere qualcosa in più da regalare.
Nella canzone Cara Mia Discografia rivolgi una critica verso l’industria musicale attuale. Pensi che uccida la creatività?
Sì, nella mia canzone ho voluto sottolineare quello che non funziona nell’industria musicale, che pretende che vengano sfornate hit, bombe, mine, spesso tutte simili e svuotate da qualsiasi valore umano. Però poi questo non si riflette nei gusti del pubblico. Infatti, stiamo facendo questa intervista proprio dopo la settimana del Festival di Sanremo, che ha premiato dei cantautori con il podio, e le canzoni con il maggiore riscontro sono state quelle dal valore autorale e contenenti un grande valore umano nei testi. Questa cosa un po’ mi commuove: in un mondo che vuole la guerra a chi fa più numeri, hanno vinto le carezze, hanno vinto i cantautori che, con dolcezza, hanno portato avanti una rivoluzione gentile.
Spero che, in un futuro, la discografia sappia accogliere quei punti di vista fatti non da numeri, ma da persone.
Nella canzone Franca racconti una scena ambientata sul lungo Po. Torino in qualche modo ha ispirato la tua musica?
Sì, l’ambiente va a determinare tanto quando si tratta di creare qualcosa. Torino aveva già influenzato tantissimo il mio primo disco, Buona Felicità, e ha influenzato alcune canzoni di SESINEPÀ!. Nel caso di Franca, c’è un po’ di Roma e un po’ di Torino, che è una città magica, alla quale sono affezionato perché ci sono nato. Però è anche una città caratterizzata dalla freddezza, da una tranquillità con cui spesso non mi trovo a mio agio, dato che sono una persona che ha bisogno di rumore, di stare di più in mezzo alla gente, quindi sono andato a Roma. Ma, alla fine, Torino è una città incredibile e ho sentito il bisogno di tornare.
Sei reduce da una serie di concerti per l’Italia. Com’è stato incontrare di nuovo il tuo pubblico?
È stato bellissimo. Con questi concerti mi sono reso conto che puoi avere tanti contatti online, comunicare con gli altri sui social, ma alla fine sono le persone incontrate dal vivo quelle che ti salvano. Sentire frasi come “le tue canzoni mi fanno stare bene” e “la tua musica mi ha aiutato in un momento difficile” mi ha dato una carica assurda. Alla data di Verona, l’ultima, ho detto ai presenti che sono loro a darmi la forza di continuare a fare un mestiere comunque difficile. Quegli occhi durante i concerti non si dimenticano.
Dopo SESINEPÀ!, stai lavorando a nuovi progetti?
Il tour è finito da poco, quindi sto rimettendo le idee a posto. Di solito scrivo in continuazione, ma ultimamente mi sto riavvicinando alla scrittura con calma, perché sto dando priorità all’esplorare me stesso e, soprattutto, a rivedere i miei capisaldi.
Grazie, è stato un piacere parlare con te.
Anche per me!
Ilaria Vicentini
