Perché le proprie origini sono così importanti per gli esseri umani? Forse per conoscere di più sé stessi, o forse perché tutti in fondo abbiamo bisogno di sapere di appartenere a una comunità che supera i confini dell’individuo. Nell’ultimo film di Jesse Eisenberg, A Real Pain, i due protagonisti affrontano un viaggio in Polonia per scoprire le proprie radici ebraiche e ricordare la nonna recentemente scomparsa. In seguito, però si capirà che le apparenze nascondono una verità molto più pesante, a real pain, appunto.
I due cugini non si vedono da sei mesi. David vive a New York, ha una moglie e un figlio, oltre a un lavoro stabile; Benji è praticamente il suo opposto, non ha una famiglia e neanche un lavoro fisso. Subito sembra esserci intesa, ma è percepibile la presenza di un elefante nella stanza, di una questione di cui non hanno più avuto occasione di parlare. Si uniscono a un viaggio organizzato con una guida e un piccolo gruppo con cui Benji mostrerà immediatamente il suo carattere amichevole e bizzarro, facendo sentire più di una volta David in imbarazzo.

Jesse Eisenberg e Kieran Culkin formano una coppia perfetta, i loro personaggi si avvicinano e si scontrano in maniera naturale, senza forzature drammaturgiche o esasperazione inutile. La sceneggiatura non impone gli elementi drammatici all’interno della narrazione in modo compulsivo, al contrario li fa entrare naturalmente nel racconto, in modo inaspettato. Come nella vita veniamo a sapere di alcuni eventi in maniera improvvisa, allo stesso modo noi spettatori li verremo a conoscere nel film.
La recitazione di Eisenberg assomiglia a quella di Woody Allen, si avvicina ai suoi lati più impacciati e ai suoi tic caratteristici; Culkin invece è perfetto nel suo oscillare tra momenti di euforia ed esaltazione e momenti cupi e depressivi, nel suo altalenante stato d’animo che lo accompagnerà durante tutto il viaggio fino al suo ritorno a casa. A tratti sembrerebbe forzato, ma alla fine del film ci rendiamo conto che rimarrà probabilmente uno dei personaggi cinematografici più naturali e imperfetti nella giusta quantità, senza eccessi di scrittura.

A Real Pain è un piccolo grande film, perché riesce a far ragionare lo spettatore su diversi temi profondi e troppo poco messi in luce e discussi nel cinema e nella società odierna, come la consapevolezza del privilegio degli occidentali rispetto alla storia e al resto del mondo. Il continuo rimando a questioni che spingono ad affrontare temi più ampi e globali e altri invece molto più intimi e personali rendono il secondo film di Eisenberg un’opera che fa ben sperare per il futuro del regista americano.
Fabrizio Mogni
