Dazi e globalizzazione: un rapporto dialettico

Donald Trump sembra fare di testa sua: ci ha abituato, nel corso degli anni, a iniziative politiche assai bizzarre. Ciò nonostante, la politica daziaria che ha scelto di implementare, praticamente fin dall’inizio del suo secondo mandato, ha lasciato analisti, esperti e osservatori quantomeno interdetti, per via del suo impatto disastroso sulle economie internazionali, fra cui quella del proprio stesso Paese, gli Stati Uniti. Potrebbe essere utile, dunque, fare un po’ di chiarezza al riguardo.

Trump annuncia i dazi il 2 aprile 2025. Cortesia del Washington State Standard.
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Tanto per cominciare, cosa sono i dazi? Un dazio, in economia, è una barriera artificiale ai flussi di beni tra due Paesi (ma anche tra parti di uno stesso Paese, a volte), ossia una serie di imposte indirette su ogni prodotto importato e/o esportato. A cosa servono? In buona sostanza, gonfiare artificialmente i prezzi di merci e servizi provenienti dall’esterno dovrebbe servire a ridurre gli interscambi tra economie nazionali, con lo scopo (teorico) di tutelare l’economia di un Paese da infiltrazioni di capitali stranieri. Fisiologicamente, risiedendo all’estero, il debito pubblico – e di conseguenza anche lo Stato – risulta più vulnerabile alle fluttuazioni del mercato. Il grosso degli economisti, tra cui Walter Poole e Milton Freedman, si dichiara contrario ai dazi, perché limitano il libero mercato e l’espansione economica che ne deriva; tuttavia, ci sono stati loro colleghi anche di sinistra che si sono dichiarati favorevoli, come John Maynard Keynes. Al di là delle disquisizioni teoriche, si può dire con ragionevole certezza che la manovra di Trump è stata calcolata male, con esiti disastrosi sugli indici azionari di tutto il mondo: infatti sono crollati tutti quasi del 20%, nel periodo in cui i dazi sono stati attivi, facendo sfumare oltre 10.000 miliardi di dollari in poco più di sette giorni, di cui 3.000 nei soli Stati Uniti.

Andamento dei principali indici al 4 aprile 2025. Cortesia di Blockhead.
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In un’economia globalizzata quale quella in cui ci troviamo (per ora) a vivere, non esistono economie isolate. Come farebbero Stati Uniti, Cina e Corea del Sud a produrre i loro famosi smartphone senza le terre rare africane? Come faremmo a reperire così facilmente il pane senza il grano ucraino? Come sarebbe sopravvissuta l’Italia al concreto rischio di default, nel 2011, senza l’acquisto da parte della Banca centrale europea di tonnellate di titoli di Stato (il famoso “quantitative easing europeo” di Mario Draghi)? In un mondo fatto di rapporti finanziari e commerciali così ampi, la scelta del presidente USA è piombata come un fulmine a ciel sereno sulle borse di tutto il globo, facendole precipitare a tal punto da costringerlo, dopo neanche dieci giorni, a ritirare tutti i dazi, tranne quelli alla Cina, arrivati a un “bulgaro” 145%. Una vera e propria rotta, piuttosto che una ritirata, che si configura come un grosso fallimento dell’amministrazione Trump, il quale si aggiunge al disastro diplomatico che è stato l’incontro con Zelens’kyj e all’incapacità di fronteggiare l’aumento costante dei beni di consumo negli Stati Uniti, il cui simbolo è il rialzo del prezzo al dettaglio delle uova. Non è stato apprezzato né dai governi storicamente alleati né dalla popolazione la decisione di non mettere dazi alla Russia, secondo Trump «già colpita abbastanza dalle sanzioni». Se ci si aggiunge che girano voci secondo cui Trump avrebbe calcolato i tassi tramite ChatGPT, poi…

Manifestanti protestano contro l’abolizione dello Usaid. Cortesia di Crikey.
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Per concludere, si è trattato di una manovra avventata e del tutto politica, senza un attento studio della congiuntura finanziaria attuale. Com’era ampiamente prevedibile, la risposta dei mercati è stata tragica, eppure i collaboratori di Trump continuano a sostenere che bisogna fidarsi di lui, mentre l’ex tycoon sostiene che i Paesi lo abbiano chiamato «per baciargli il c*lo», ossia chiedergli disperatamente di rimuoverli. L’economia che più di tutte ha subito i danni di questa assurda politica daziaria, però, è proprio quella statunitense. Persino esponenti stessi del partito repubblicano iniziano a mettere in dubbio l’effettiva capacità del presidente di fare politica economica, mentre l’opinione pubblica del Paese a stelle e strisce appare sempre più incerta. Basterà la politica ferocemente anti-gay e anti-aborto di Trump e dei suoi a distrarla?

Vincenzo Ferreri Mastrocinque

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