Giovani, futurismo e cretini fosforescenti: il brainrot

Dell’impoverimento del linguaggio e dei terribili omicidi della lingua italiana da parte dei giovani si parla ormai da anni. Rinveniamo online una moltitudine di articoli intenzionati a dimostrare come una lingua sempre più scarna sia sintomo di una diminuzione di quoziente intellettivo, e di come questi ragazzi, oggi, non leggano più libri, non siano più in grado di sviluppare un pensiero critico e siano i carnefici dell’inevitabile caduta di termini aulici già tramontati a fine Novecento. A tutto ciò si potrebbe rispondere con altrettante polemiche che mettano in luce come, in verità, la nostra generazione non sia poi tanto diversa da quelle precedenti (non ci siamo mica dimenticati del lessico dei “paninari” degli anni ’80…) e che la responsabilità del lento degrado della cultura lessicale italiana non sia certamente individuale, ma collettiva. Invece, la Gen Alpha ha risposto con il brainrot italiano.

Spiegare nel dettaglio a chi ha più di sedici anni questo assurdo quanto interessante fenomeno è alquanto difficile; anche noi, che dovremmo essere la generazione più vicina ai teenagers, non sempre ne comprendiamo a pieno il senso. Il termine – che significa letteralmente “marciume cerebrale” – si è diffuso come nuovo slang tra i giovani e viene utilizzato per definire questi contenuti disturbanti e apparentemente comici, nei quali si susseguono diversi personaggi grotteschi generati dall’intelligenza artificiale, accompagnati da una filastrocca in lingua italiana – anch’essa creata con l’IA – priva di senso e ricca di neologismi particolari. Abbiamo così Bombardiro Crocodilo, un ibrido tra un coccodrillo e un cacciabombardiere, oppure Trallallero Trallallà, uno squalo antropomorfo con le sneakers… e la lista potrebbe protrarsi all’infinito.

Ora, se chi sta leggendo tutto questo non ci ha capito nulla, è assolutamente normale. Questo fenomeno, che sembra quasi una grandissima allucinazione collettiva, fa proprio leva sulla sua totale mancanza di senso logico. Per mesi gli pseudo-filologi dell’Internet hanno tentato di trovare l’origine di tutto questo e di dare una spiegazione alla domanda che sta frullando in testa a tutti: com’è possibile trovare divertenti queste porcherie digitali? Forse la chiave ironica con cui leggere questo fenomeno sovrannaturale sta proprio nella sua impossibilità di trovarci un senso: più la gente cerca di capire tali contenuti, più questi si complicano, andando ad aggiungere al proprio repertorio nuovi personaggi dai nomi bizzarri, testi assurdi e talvolta blasfemi, nuove trame… insomma, più una cosa confonde e più diventa assurdamente intricata, scatenando il riso.

https://pin.it/1oLXimucU

Vediamo nel concreto uno dei tanti testi che popolano il web:

“Ballerrina spritzettina, mi mi mi miii è la moglie di Tung tung tung spritz e ama il gossip; bla bla bla bla”

Questo omicidio lessicale è contornato da una musichetta rilassante in sottofondo, mentre una voce metallica generata artificialmente recita questo motivetto stupido, ma sufficientemente orecchiabile da entrare in testa e risultare in qualche modo catchy, alla pari di un tormentone. È probabilmente per questo motivo che il brainrot italiano sta riscontrando un notevole successo in tutto il mondo, finendo addirittura a contorno di pubblicità o di trend di tiktokers americani. Eppure, loro l’italiano non lo conoscono; com’è possibile? Non è tanto diverso dal fenomeno di Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano: nessuno capisce una parola, ma il prodotto ha successo comunque, in quanto orecchiabile, colorito, allegro, immediato e attraente.

C’è chi sostiene che questa comicità deforme faccia parte della cosiddetta post-ironia del mondo digitale, in cui si sembra destinati a una tragica discesa dal mondo reale  in favore di una dimensione illusoria e priva di senso che “spappola il cervello” dell’essere umano. Eppure, volendo indagare ancora più a fondo nel mondo di questo umorismo distorto, si potrebbe – un po’ provocatoriamente, ammettiamolo – ricordare un fenomeno assai simile, risalente allo scorso secolo. Onomatopee, ripetizioni, distruzione della sintassi e collasso del rigore logico: il paragone con Zang Tumb Tumb di Filippo Tommaso Marinetti pare quasi inevitabile.

Il componimento, risalente al 1914, riporta gli avvenimenti della Battaglia di Adrianopoli ed è il caposaldo del movimento del Futurismo, caratterizzato da un ricco fonosimbolismo e da parole libere, prive di qualunque struttura logica e grammaticale: non ci sono frasi o periodi, né punteggiatura, né sintassi.

Che gioia vedere udire fiutare tutto tutto tara-tatatata delle mitragliatrici strillare a perdifiato sotto morsi schiaffffi traak-traak frustate pic-pac-pum-tumb bizzzzarrie salti altezza 200 m della fucileria”.

Un utente online aveva sarcasticamente affermato che il Futurismo fosse il brainrot del Novecento. E in effetti le somiglianze estetiche ci sono, a partire dal comune tentativo di liberare la lingua dagli schemi logici preimpostati a cui siamo abituati. Chiaramente Marinetti fece tutto questo con consapevolezza e volontà di ribellione, al fine di lanciare una nuova estetica “anarchica” che si opponesse ai dogmi della sfera intellettuale del tempo; e proprio quest’ultima lo vedeva male a causa di quei versi nonsense senza valore artistico (menzione d’onore a D’Annunzio, che lo definì un “cretino fosforescente”).

Fermo restando che abbiamo a che fare con due epoche diverse e che molto probabilmente Ballerrina Spritzettina non maschera una ribellione consapevole, il successo che il brainrot sta ottenendo è senza dubbio affascinante: attira perché è una novità che contrasta totalmente l’ordine delle cose, finendo con il prendere in giro (forse volontariamente?) la sfera degli intellettualismi, delle regole imposte e non scritte che prevedono serietà, ordine e disciplina; e lo fa semplicemente proponendo uno spazio virtuale in cui si può spegnere il cervello, entrando in una dimensione dell’assurdo così elevata da scatenare comicità. Possiamo scandalizzarci quanto vogliamo, ma noi attuali ventenni siamo cresciuti con le “Youtube Poop”: montaggi e remix di video preesistenti che ne alterano il significato originale, generando scene umoristiche e caotiche. Difficile pensare che questi video giocosi siano i precursori del brainrot, ma a loro dobbiamo la prova concreta del fatto che sì, il nonsense può far ridere. E anche parecchio.

Monica Poletti

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