La genetica nel piatto

Un po’ tutti, a scuola, abbiamo fatto educazione alimentare. I primi approcci al cibo grazie alla mensa (per chi faceva il tempo pieno), all’educazione a una dieta varia e bilanciata, all’immagine della piramide alimentare appesa sui muri della classe. Abbiamo imparato come bisognerebbe prendersi cura del proprio corpo con il cibo, pensando che le scelte alimentari e le abitudini che portiamo avanti ogni giorno riguardino solo il corpo che abitiamo. Ma è davvero così? 

L’epigenetica è una branca dello studio del patrimonio genetico che studia i cambiamenti nell’espressione dei geni che non sono dovuti a modifiche nella sequenza del DNA in sé, ma a modifiche chimiche che lo influenzano. Le scelte che facciamo, le abitudini che nutriamo e l’ambiente in cui viviamo influenzano il modo in cui il nostro patrimonio genetico si esprime: ad esempio, il consumo di alcuni cibi, lo stile di vita, l’esposizione all’inquinamento e allo stress possono favorire il manifestarsi di determinate condizioni di salute negative. 

L’infanzia è un periodo particolarmente importante nella stabilizzazione del metabolismo: è stato dimostrato che la malnutrizione nella prima infanzia sia direttamente collegata a una serie di disturbi più avanti nell’età.  Uno studio dell’Università di Cambridge e della Harvard Medical School su un gruppo di topi ha dimostrato che l’effetto di una scarsa alimentazione non sembrerebbe fermarsi al singolo soggetto che lo vive, ma può essere trasmesso fino a due generazioni successive, se a farne esperienza è un soggetto in gravidanza.

Per realizzare questo esperimento, i ricercatori hanno provato a dimezzare le calorie della dieta di un gruppo di femmine di topo all’ultima settimana di gestazione (la cui durata è normalmente di circa venti giorni). I topi nati da queste madri erano di dimensioni più piccole alla nascita e, da adulti, hanno mostrato una tendenza molto maggiore al diabete e all’obesità, anche se nutriti con una dieta normale rispetto ai cuccioli nati da madri nutrite regolarmente nel corso della gestazione. Inoltre, analizzando gli spermatozoi dei cuccioli maschi nati dalle madri malnutrite, i ricercatori hanno osservato una diminuzione della cosiddetta metilazione, un legame di particolari gruppi chimici alla molecola di DNA in grado di “accendere” o “spegnere” alcuni geni a seconda delle condizioni ambientali del soggetto. I ricercatori hanno poi osservato che anche i nipoti dei topi dell’esperimento erano più propensi a soffrire di diabete e obesità, anche se nei loro spermatozoi non apparivano più le caratteristiche rilevate nel DNA dei genitori. Il fatto che nella seconda generazione di topi fossero ancora presenti gli effetti, ma non le particolari caratteristiche di metilazione, farebbe comunque ipotizzare che questo meccanismo non sia l’unico responsabile del manifestarsi di questi disturbi. Era già risaputo che alcune condizioni di stress vissute durante la gestazione potessero provocare effetti negativi sulla salute del nascituro, ma si è anche visto che la condizione di gravidanza permette al corpo della madre di guarire meglio e più rapidamente, grazie alle cellule staminali inviate dal feto alla parte del corpo interessata.

Questo esperimento ricorda un po’ alcuni casi storici che potremmo definire “esperimenti naturali”: ad esempio, la carestia delle patate avvenuta in Irlanda tra il 1845 e il 1849, o l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale in Olanda (“l’inverno della carestia” del 1944-1945) e anche in Italia, con la pratica del razionamento. Infatti, quando l’esercito tedesco bloccò l’accesso ai rifornimenti in alcuni territori dei Paesi Bassi, una parte della popolazione patì gravemente la fame, complice anche un inverno particolarmente rigido. Questa specifica situazione di malnutrizione ha permesso ai ricercatori di studiarne gli effetti sulla popolazione: tra i risultati emersi, si è visto che i figli nati da donne incinte durante il periodo della carestia hanno poi manifestato, da adulti, una predisposizione molto superiore a disturbi quali malattie cardiovascolari, obesità, diabete e pressione alta.

Anche Torino ha patito la fame: tutti abbiamo letto, negli anni della scuola, della terribile epidemia di peste bubbonica raccontata da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi: peste che ha colpito non solo la Milano di Renzo e Lucia, ma tutto il nord Italia tra il 1629 e il 1633. È possibile supporre che anche le generazioni successive abbiano sofferto di disturbi simili a quelli rilevati in Olanda, anche se naturalmente non c’è modo di saperlo con certezza senza esperimenti mirati. 

In generale, diversi studi sulle popolazioni dei Paesi più sviluppati hanno evidenziato un rapido e progressivo aumento della statura media della popolazione e della prevalenza di soggetti sovrappeso e obesi. La rapidità e l’entità di questi fenomeni rende palese l’influenza di fattori ambientali: ad esempio, si evidenzia un diffuso squilibrio tra l’apporto di calorie e nutrienti giornaliero e il dispendio energetico medio. Questa disparità è particolarmente impattante nei primi anni di vita, in quanto le abitudini energetico-alimentari sviluppate in quel lasso di tempo sembrano avere non solo effetti immediati sulla crescita del bambino, ma anche sul “programming” endocrino e metabolico dell’individuo – condizionandolo quindi per tutta la vita.

A oggi in Italia circa 4 bambini in età scolare su 10 sono sovrappeso o addirittura obesi: non è un caso che i periodi più a rischio per favorire una predisposizione all’obesità siano il primo anno di vita, il periodo tra i 4 e 6 anni, e la pubertà. Tre sono anche i periodi di iperplasia degli adipociti, ovvero i momenti di intenso aumento del numero di cellule adipose in questo tipo di tessuto. La prima massiccia moltiplicazione cellulare si verifica infatti negli ultimi mesi di vita intrauterina: alla nascita il corpo del neonato è normalmente paffuto, in quanto composto per il 10-15% di adipociti. Tuttavia, un’alimentazione scorretta nel primo anno di vita fa sì che il numero degli adipociti resti stabile (circa 5 miliardi), ma ne aumenti il volume: in questo modo la percentuale di tessuto adiposo sale al 25-30% della massa corporea totale, fino a raggiungere le dimensioni degli adipociti che si trovano normalmente degli adulti. Il problema è che la differenza del numero di cellule di grasso presenti nel corpo si stabilisce durante l’infanzia e rimane tale per tutta la vita

C’è ancora molto da scoprire sul DNA umano e sulla sua interazione con l’ambiente esterno: certo è che il quadro è molto più complesso di quel che potrebbe sembrare a primo impatto, e che le scelte che facciamo ogni giorno per la nostra salute potrebbero non essere sufficienti, senza la conoscenza della nostra storia familiare.

Arianna di Pascale

Fonti:  https://www.fondazionetelethon.it/storie-e-news/news/dalla-ricerca/cibo-e-malattie-genetiche-quando-la-dieta-ribalta-i-canoni/

https://www.lifegate.it/cibo-stile-di-vita-ed-emozioni-epigenetica

https://www.repubblica.it/il-gusto/dossier/benessere-a-tavola-/2025/05/10/news/cibo_genetica_dna_dieta_longevita-424178252/

https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/non-solo-cancro/curiosita-sul-nostro-corpo/guerre-stress-e-carestie-lasciano-unimpronta-nelle-nostre-molecole

https://www.focus.it/scienza/salute/gli-effetti-della-malnutrizione-della-madre-arrivano-fino-ai-nipoti

Sulla carestia irlandese: https://www.geopop.it/la-carestia-irlandese-del-1845-1852-la-crisi-delle-patate-che-causo-un-milione-di-vittime/ 

Sulla peste a Torino: https://torinostoria.com/la-guerra-di-torino-contro-la-peste-del-1598/ 

Sull’obesità infantile: https://www.pediatrico.roma.it/obesita-eta-evolutiva-intervenire/ 

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