Reboot, remake, sequel: la “zombificazione” del cinema

Meglio precisarlo subito: il titolo è volutamente provocatorio. Di per sé, infatti, reboot, remake e sequel non sono il male incarnato (come alcuni commenti su Internet vorrebbero far credere). Il loro numero, però, è cresciuto a dismisura negli ultimi anni e non sembra diminuire, anzi; è una strategia commerciale, certamente, ma è davvero l’unica strada possibile, per il cinema più mainstream? E poi, se si fa ricorso solo a seguiti e rifacimenti di cult ormai già ben navigati, che fine fanno le idee originali?

Analizziamo la cosa in modo lucido e neutrale (per quanto possibile), allontanandoci dall’atteggiamento bellicoso che si vede online su questa tematica, che tuttavia è un’innegabile spaccatura nel pubblico, sia in quello generalista, sia tra i più appassionati.

Al Pacino è Michael Corleone nel Padrino parte II, secondo alcuni il più riuscito sequel della storia del cinema. Cortesia di WikiMedia.
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Per chi non lo sapesse, cosa sono reboot, remake e sequel? I primi due sono, per dirla in breve, rifacimenti di altri prodotti. Il nuovo Superman di James Gunn è un esempio perfetto: un remake del film omonimo del 1978, di Richard Donner, con Christopher Reeve, Marlon Brando e Gene Hackman. Il reboot è molto simile: si tratta di far ripartire completamente una saga, cancellando la continuity precedente. Ad esempio, Spider-Man: Homecoming di Jon Watts, del 2017, reboot di The Amazing Spider-Man del 2012 (a sua volta reboot dei leggendari Spider-Man di Sam Raimi). Il sequel è semplicemente un nuovo capitolo di un film (Lo Squalo 2, Halloween 2, Nightmare 2, ecc. ecc.).

Di per sé, questi tipi di film si sono sempre fatti con alterne fortune: un caso di remake riuscitissimo è La cosa, di John Carpenter, horror del 1982, rifacimento di La cosa da un altro mondo, del 1951, ma anche La mosca di Cronemberg, Nosferatu di Werner Herzog, Scarface di Brian De Palma e tanti altri. Come sequel altrettanto fortunati, impossibile non citare L’impero colpisce ancora, seguito del primo Guerre Stellari (ormai divenuto, per continuity, il capitolo IV), ma anche Terminator 2, Shrek 2, Il Padrino parte II, eccetera.

I tre Spider-Man: Tobey Maguire, Tom Holland ed Andrew Garfield. Cortesia del Nerdist.
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Insomma, numerosi sono stati i prodotti di questo tipo realizzati e alcuni si sono dimostrati ben più che all’altezza. Tuttavia, negli ultimi dieci anni sono aumentati del 700%1. Come mai l’industria cinematografica persegue così ostinatamente questa strada? La risposta è abbastanza ovvia: perché fanno profitto. Nel 2024, per la prima volta dopo cinquant’anni, i dieci maggiori incassi annuali sono stati conseguiti da film non originali2 (Inside Out 2, Deadpool e Wolverine, Cattivissimo Me 4, Dune Parte 2…). Parliamo, nel complesso, di circa sette miliardi e seicento milioni di dollari. C’entra, sicuramente, la profilazione sempre più ossessiva e martellante dei gusti del pubblico, in modo da confezionare prodotti che lo portino a spendere il più possibile. Il fattore nostalgia porta a spendere più del valore reale di un prodotto3, secondo numerosi casi studio, e ciò potrebbe spiegare l’incremento al box-office, al netto dell’inflazione. Viviamo in un periodo di incertezza (guerre all’orizzonte, recessione economica, tensioni sociali…) e dunque il ritorno a un passato percepito come “più semplice” attrae il pubblico, che spende per vedere ciò che aveva amato durante l’infanzia o la giovinezza, o anche solo qualche anno fa, quando tutta questa instabilità non era ancora in procinto di esplodere.

Ralph Fiennes è il cardinale Lawrence in Conclave. Cortesia di IMDB.
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I film indipendenti soffrono la concorrenza: nel 2024 hanno incassato 300 milioni di dollari in meno, un calo quasi del 20%4 (e uno dei tre titoli più visti dell’anno scorso è stato pur sempre un sequel, Terrifier 3). Non sono bastati Conclave, Civil War e The Substance a risollevare la situazione. Certo, c’è stato un aumento totale al botteghino del 30%, rispetto al 2019, e dell’80% rispetto al 2018, ma ciò non toglie che i titoli considerati “minori” abbiano sofferto. Il che non vuol dire che il mercato indipendente se la passi male, anzi. L’aumento sia degli investimenti sia degli incassi c’è, questo è indubbio. Se possono giovarci pellicole nuove di ottima fattura, al di fuori di marchi come Universal, 20th Century Fox o Disney, è anche merito di un generale ritorno alle sale, malgrado l’abbondanza di piattaforme di streaming: un fenomeno rilevabile soprattutto nei giovani tra i 15 e i 34 anni5. Va detto che, anche le grosse produzioni originali come Conclave o Nosferatu di Robert Eggers, non hanno raggiunto neppure lontanamente i numeri di Lilo e Stitch, Dragon Trainer o Jurassic World Rebirth6. È chiaro che i film non originali abbiano il vento in poppa.

Il famoso “zombi alfa” di 28 Giorni Dopo (che di recente ha avuto un sequel). Cortesia di Movieplayer.
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Dunque, non si può dire che il mercato del cinema indipendente sia in crisi, nonostante una flessione evidente dal 2023 al 2024, ma certo è che le idee originali non interessano le grandi case di produzione. La “zombificazione” del cinema è dovuta a scelte deliberate delle major e, nonostante i film originali continuino a uscire (facendo anche ottimi risultati), non sono certo sulla cresta dell’onda. Si cerca di attrarre più pubblico possibile facendo leva sulla nostalgia, appunto, piuttosto che puntare su prodotti nuovi, assumendosene i rischi. Ad ogni modo, non c’è motivo di allarmarsi: il cinema è fatto di fasi e anche questa, come tutte le altre, è destinata a passare. Si può solo sperare che le sceneggiature originali tornino presto a fare gli stessi risultati degli inevitabili nuovi capitoli.

Vincenzo Ferreri Mastrocinque

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