«Il ciclismo mi ha tradito, ma io lo amo ancora» disse Marco Pantani pochi mesi prima della sua morte: parole amare, pronunciate da un uomo che aveva conosciuto la gloria ma anche l’abisso.
Pantani nasce il 13 gennaio 1970 a Cesena da papà Ferdinando (detto Paolo) e mamma Tonina, che vendeva piadine e crescioni un un localino sul lungomare. Fin da piccolo Marco mostra un carattere vivace e un amore profondo per lo sport. Cresciuto tra le colline romagnole, passa i suoi pomeriggi a giocare a calcio con gli amici, coltivando una passione particolare per il Milan e il Cesena. Il tifo lo porta spesso sugli spalti degli stadi. Mai veramente portato per lo studio, il giovane Marco trova nella natura e nello sport il suo equilibrio: è solito andare a caccia con il padre e pescare con il nonno Sotero. Ed è proprio il nonno che, un giorno, gli regala una bicicletta, cambiando per sempre la sua storia.
Appena salito in sella, Marco capisce subito che quella è la sua vera strada. Si iscrive quindi al gruppo ciclistico Fausto Coppi di Cesenatico e, nonostante la giovane età, comincia presto a farsi notare per le sue qualità in salita. Le prime vittorie arrivano in fretta e la conferma della sua bravura giunge già il 22 aprile 1984, quando taglia per primo il traguardo delle “Case Castagnoli” di Cesena. Nel 1986, tuttavia, Pantani è vittima di due incidenti che arrestano momentaneamente la sua precoce carriera. Il primo di questi avviene durante un allenamento, quando si distrae, finendo per schiantarsi contro un camion in sosta e rimanendo in coma per ventiquattro ore. Poco tempo dopo, nel corso di una discesa, il ciclista si scontra con un’auto, riportando diverse fratture che lo costringono a una settimana di ricovero.
Tornato sulle due ruote, tra il 1987 e il 1988 corre con gli Juniores, per poi passare ai dilettanti con la S.C. Rinascita di Ravenna e, nel 1990, con il G.S. Lambrusco Giacobazzi di Nonantola. Partecipa a tre edizioni del Giro d’Italia per dilettanti, migliorando di anno in anno il proprio piazzamento: arriva terzo nel 1990, secondo nel 1991 con una vittoria di tappa, fino a trionfare nel 1992, con due tappe vinte e il titolo di miglior scalatore. Quello stesso anno, passato ai professionisti, Pantani si accasa alla Carrera Jeans-Vagabond di Davide Boifava, mantenendo un accordo informale preso l’anno precedente. Del 1993 è il debutto al Giro del Trentino, dove chiude quinto in classifica generale. Poco dopo arriva il primo Giro d’Italia da professionista, che corre per lo più da gregario, riuscendo comunque a mettersi in luce con un buon decimo posto nella tappa di Asiago. A causa di una tendinite, però, si ritira in via precauzionale a poche tappe dalla fine, quando è diciottesimo in classifica generale.
Nel 1994 esplode definitivamente al Giro d’Italia, arrivando terzo e incantando tutti con i suoi attacchi in salita. L’anno seguente sfiora l’impresa anche al Tour de France, dove trionfa in due tappe leggendarie: Alpe d’Huez e Guzet-Neige. Ma il destino continua a perseguitarlo: durante la “Milano-Torino”, infatti, viene investito da un’auto e rimane fermo per mesi. Nonostante l’incidente, però, Pantani torna più forte e grintoso di prima e nel 1998 vince in un solo anno il Giro d’Italia e il Tour de France, ultimo a riuscire nella storica doppietta. In Italia esplode la “Pantani-mania”: Marco diventa un’icona, l’uomo che fa sognare un paese intero. Ma nel 1999, al culmine del successo, tutto crolla. Maglia rosa al Giro d’Italia e leader della corsa, Pantani è costretto a fermarsi a Madonna di Campiglio a causa di alcuni valori ematici anomali. Nonostante non risulti positivo a sostanze dopanti, è comunque escluso dalla competizione. Per lui è l’inizio della fine.
Da quel momento in poi, Pantani non si riprende più. Prova a tornare a correre, ma non è più quello di una volta: l’ex-beniamino delle due ruote appare ferito, diffidente, isolato. La depressione ha il sopravvento. Tra cliniche, giornalisti invadenti e il silenzio dei vecchi amici, Marco rimane solo. Il 14 febbraio 2004, a soli 34 anni, è trovato morto in una stanza d’albergo a Rimini. La causa ufficiale è un’overdose, ma la sua morte ha sollevato numerosi dubbi e polemiche. Da allora, Pantani è diventato simbolo dell’innocenza perduta, del talento puro, della fragilità di chi, per salire così in alto, ha dovuto sfidare anche sé stesso. Oggi Marco vive nei racconti dei tifosi, nei murales, nei tornanti delle grandi salite. È rimasto il “Pirata”, l’ultimo eroe romantico del ciclismo moderno.
Beatrice Bonino
Fonti:
“Marco Pantani «il Pirata»” (ciclisergiobianchi.it)
“Pantani, trionfi e cadute: la leggenda del ‘Pirata’ a 20 anni dalla morte” (sport.Sky.it)


