Raccontare la verità è sempre la scelta più etica, ma mai quella più facile. Richiede una grande dose di coraggio, perché in diversi contesti potrebbe generare delle conseguenze anche gravi per chi ha messo in evidenza delle scene o dei dettagli che molti avrebbero preferito tenere nascosti. Nell’articolo di oggi, lo scopo è quello di raccontare delle storie che, all’apparenza, si riferiscono ad ambiti e contesti molto diversi fra loro, ma che hanno in comune l’attualità e il messaggio che lanciano: l’importanza dell’informazione, quella vera e senza filtri, che è direttamente collegata alla difficoltà che spesso si riscontra nel confessare la verità e nel scegliere di stare dalla parte giusta.
Una domanda “tecnicamente sbagliata”
La prima storia riguarda il giornalista Gabriele Nunziati, inviato a Bruxelles dell’agenzia di stampa Nova: una vicenda che ha destato enorme scalpore, non solo nell’opinione pubblica e tra i politici, ma in particolare fra i suoi colleghi giornalisti. Nunziati è stato infatti licenziato per aver posto a una portavoce della Commissione Europea, Paula Pinha, una domanda che metteva la Russia e Israele sullo stesso piano in quanto Paesi generatori di un conflitto. La domanda in questione era “Se la Russia dovrà pagare per la ricostruzione dell’Ucraina, lo stesso dovrà fare anche Israele per la ricostruzione di Gaza?”. Paula Pinha, tra l’altro, aveva descritto la domanda come “molto interessante”, anche se non aveva dato una risposta. Due settimane dopo, il 27 ottobre, Nunziati aveva ricevuto delle telefonate dall’agenzia per cui lavorava, seguite da una lettera di licenziamento.
Il giornalista e i suoi datori di lavoro avevano già avuto delle discussioni sullo stesso tema in passato e Nunziati era stato accusato dall’agenzia di “non capire la differenza tra le posizioni di Russia e Israele e di ignorare i principi fondamentali del diritto internazionale”. La sua domanda alla Commissione è stata considerata come la goccia che ha fatto traboccare il vaso, anche perché l’agenzia, per giustificare la reazione repressiva, si è giustificata definendola come una domanda “tecnicamente sbagliata e fuori luogo”, in quanto vige una sostanziale differenza fra i due Paesi messi a confronto da Nunziati. La Russia è un membro permanente dell’ONU, quindi una delle nazioni che dovrebbero garantire il mantenimento della pace e dell’ordine a livello mondiale, ed è colpevole dell’invasione dell’Ucraina, che è un Paese sovrano, mentre il comportamento di Israele è presentato come una forma di autodifesa, perché aveva invaso la Striscia di Gaza in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
La Commissione Europea sostiene di non aver avuto nessun ruolo nelle dimissioni di Nunziati, ma è indicativo il fatto che l’agenzia Nova offrisse servizi a pagamento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli Esteri, perché potrebbe esserci un legame tra le idee del Governo italiano, che ha sempre dimostrato di sostenere Israele, e questo improvviso licenziamento del corrispondente dell’agenzia a Bruxelles. In ogni caso, diverse persone hanno sottolineato l’ambiguità e la debolezza dell’Unione Europea, che se da un lato sembra essere decisa nello stabilire sanzioni contro la Russia, dall’altro lo è ben meno nel riconoscere la responsabilità di Israele. Nunziati racconta questa vicenda parlando di una “costante erosione di libertà di stampa ed espressione”: lo sconcerto e il supporto al giornalista sono stati rinnovati anche da partiti politici come il Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti si è riunito e ha chiesto la revoca della decisione, dopo aver decretato che “Non si può essere licenziati per aver posto una domanda”, in quanto “lo scopo dei giornalisti è quello di porre domande che possono risultare scomode o poco gradite”.
Un video costato caro
Anche la seconda storia di questo articolo riguarda la difficoltà di esporre la verità davanti agli occhi di tutti, in particolare quando si teme per la propria incolumità e per quella della propria famiglia. Al centro della vicenda Yifat Tomer-Yerushalmi, avvocata generale a capo dell’ufficio che si occupa della difesa e dell’esercito israeliano. Il 2 novembre scorso aveva dato le dimissioni, prendendosi la responsabilità della diffusione di un video (che aveva cominciato a circolare nel luglio del 2024) che mostrava gli abusi e le violenze perpetrate dai soldati israeliani a danno di un prigioniero palestinese. Tomer-Yerushalmi aveva approvato la condivisione di questo video per dimostrare la fondatezza delle indagini e dell’arresto di alcuni soldati israeliani, dopo essere stata accusata dagli attivisti nazionalisti di destra di aver diffuso false informazioni per screditare le forze armate.
Nel fine settimana l’avvocata era scomparsa, il suo telefono risultava spento e il ritrovamento di una specie di lettera di addio faceva presagire un possibile suicidio. Era poi stata trovata viva, subendo poco dopo l’arresto immediato con l’accusa di “intralcio alla giustizia per la fuga di notizie sugli abusi e per un presunto tentativo successivo di insabbiamento”, e Netanyahu stesso l’aveva accusata di aver causato “una delle peggiori rovine di immagine di Israele”. “Come se il problema fosse più la diffusione del video che le violenze da parte dei soldati israeliani”, sottolinea il giornalista Ghittoni. La “colpa vera” dell’avvocata in realtà è un’altra, ovvero quella di non aver aperto alcuna indagine sui crimini di guerra compiuti a Gaza negli ultimi anni, sebbene questo rientrasse nel suo ruolo. La donna si sentiva infatti minacciata dai nazionalisti di destra, che erano giunti al punto di andare fino a casa sua per intimidirla. La notizia più recente risale al 9 novembre, quando Tomer-Yerushalmi è stata ricoverata in ospedale dopo aver assunto una quantità eccessiva di farmaci, avvenimento che sembra dimostrare sempre di più la sua volontà di togliersi la vita.
Le storie proseguiranno nel prossimo articolo, ma bastano già questi due racconti per dimostrare il coraggio di cui sono dotate certe persone: da giornalisti che ricoprono con serietà il loro ruolo e che non hanno timore di porre domande ad avvocate che riescono, seppur dopo diverso tempo e sotto minaccia, a trovare la forza di fare luce sulla verità. É importante che queste figure vengano appoggiate e supportate dall’opinione pubblica e che si parli delle loro storie. Anche perché, come sosteneva Platone, “Possiamo facilmente perdonare un bambino che ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce” e la luce della verità fa paura a molti, che infatti cercano di bloccarla. La speranza è riposta in quelli che ancora lottano, contro avversari reali, fake news e disinformazione, per mantenerla in vita.
Francesca Salvai
Fonti:
Post (podcast)
https://www.instagram.com/reel/DQtuucKCRdF/?igsh=cGVucTRnYXl4MHNy
https://www.ilpost.it/2025/11/03/avvocata-esercito-isareliano-video-palestinese-tortura/
