In occasione della commemorazione del settantanovesimo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, la destra italiana non ha resistito alla tentazione di riscrivere a proprio piacimento il corso dei fatti di via Rasella, riportando a galla i catorci di una polemica storiografica sterile che i processi Kappler-Kesselring sembravano aver messo a tacere una volta per tutte.
D’altro canto, sottovalutare la portata delle parole del Presidente del Senato La Russa, che ha recentemente dichiarato che “l’attentato di via Rasella non è stata una delle pagine più gloriose della Resistenza partigiana” e che “quelli che i partigiani hanno ucciso non erano biechi nazisti delle SS ma una banda musicale di semi-pensionati, altoatesini, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia al quale esponevano i cittadini romani, antifascisti e non” significherebbe commettere un imperdonabile peccato di ingenuità. Se davvero la storia è, come pensava Napoleone Bonaparte, la versione degli eventi passati che il popolo ha accettato di comune accordo, la mossa del governo sembra qualcosa di più che una semplice provocazione nei confronti dell’opposizione. Non è solo in gioco la memoria dei 335 ebrei, partigiani, oppositori politici e civili trucidati dai nazisti alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, ma è in ballo l’identità dell’intera nazione italiana.

In questo cimitero di fantasmi e di menzogne, La Russa ha detto una cosa vera: i 156 soldati dell’undicesima Compagnia del terzo Battaglione del Polizeiregiment “Bozen” della polizia d’ordine, erano effettivamente altoatesini della provincia di Bolzano, occupata dai tedeschi nell’ottobre del 1943. Peccato, però, che i presunti “vecchietti musicisti” della polizia anti-partigiana (in realtà tutti soldati tra i 26 e i 42 anni) fossero impiegati, in quanto militari subordinati alle SS, nei rastrellamenti di ebrei e di cittadini comuni, deportati nei campi di lavoro in Germania. Un altro battaglione dello stesso reggimento “Bozen” — sempre quello dei famosi “semi-pensionati” di La Russa — è stato responsabile di crimini di guerra e di eccidi in Cadore.

Roma, affamata e bombardata tutti i giorni dagli Alleati, è stata, secondo il colonnello nazista Dollman, futuro agente della CIA, la capitale che più ha dato filo da torcere ai progetti del Fuhrer. Su richiesta degli alleati angloamericani, che chiedevano attacchi costanti alle armate tedesche nel centro città, i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), unità partigiane coordinate dal leader del PCI Giorgio Amendola, organizzavano continui atti di sabotaggio. Solo per citare alcuni esempi, dopo l’uccisione del 3 marzo della calabrese Teresa Gullace — alla cui storia si ispirerà Rossellini per il personaggio interpretato dalla Magnani in Roma città aperta — il 9 marzo saltò in aria un deposito di carburante della Wehrmacht, mentre il 10 marzo vennero uccisi 8 soldati tedeschi per mano dei gappisti. Non è possibile comprendere l’attentato di via Rasella se non lo si inserisce all’interno di questo preciso contesto storico.
L’azione partigiana programmata per il 23 marzo 1944 e pianificata dai due comandanti dei GAP “centrali”, Mario Fiorentini, futuro professore ordinario di geometria superiore, e Rosario Bentivegna, fidanzato della partigiana Carla Capponi, si articolava in due fasi: in un primo momento, Bentivegna, travestito da spazzino, doveva accendere la miccia della bomba che sarebbe detonata al momento del passaggio del battaglione “Bozen” per la stretta via Rasella; successivamente, un gruppetto di tre partigiani aveva il compito di colpire i soldati tedeschi con bombe a mano, prima della fuga verso un luogo sicuro. Durante l’attentato morirono 33 tedeschi, la maggior parte sul colpo e altri poche ore dopo in ospedale.
È il caso di sfatare una volta per tutta due subdoli miti: checché ne dica La Russa, è stato accertato che, prima del 23 marzo, nessun comandante tedesco aveva mai dato l’ordine di uccidere civili per vendicare la morte dei propri soldati. Inoltre, lo stesso Kappler, durante il suo processo, dichiarò che tra il 23 e il 24 non venne pubblicato alcun manifesto in cui si chiedeva ai colpevoli dell’attacco di costituirsi, perché si temeva un’insurrezione popolare. Come ordinato dal Fuhrer, la strage delle Fosse Ardeatine doveva essere portata a termine entro ventiquattr’ore, nella massima segretezza.
Micol Cottino

Grazie a persone come te che ricordano che la STORIA NON PUO’ ESSERE RISCRITTA!!!
Nessun proclama, nessuna intervista malevolmente interlocutoria potrà nascondere la storia finché ci saranno persone che la ricorderanno e che si adopereranno per divulgarla.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie mille per il commento! 🙂 🙂 🙂
"Mi piace""Mi piace"