Sono stati rinvenuti i luoghi di sepoltura più antichi del mondo. E non appartengono all’Homo Sapiens

Ritrovati in Sudafrica alcuni resti che rivoluzionerebbero le attuali pietre miliari dell’evoluzione umana: il primo a seppellire i propri morti sarebbe stato in realtà l’Homo nalendi, centinaia di migliaia di anni prima dell’Homo Sapiens.

Lee Berger, leader della spedizione e ricercatore presso l’Università di Witwatersrand

La recentissima scoperta è avvenuta non troppo lontano da Johannesburg, Sud Africa: un gruppo di paleontologi ha rinvenuto alcuni fossili la cui autenticità sta mettendo in dubbio le sedimentate nozioni circa l’evoluzione umana.
Il luogo del ritrovamento è la cosiddetta Culla dell’Umanità, un sito archeologico a 25 miglia dalla capitale sudafricana divenuto peraltro patrimonio dell’UNESCO proprio in virtù dei ritrovamenti paleontologici annoveratisi negli anni. È proprio in questa zona, infatti, che dieci anni fa alcuni ricercatori hanno rinvenuto per la prima volta i resti di quello che nel 2015 sarebbe stato poi battezzato Homo nalendi, un ominide vissuto tra i 335e 236 mila anni fa.
Si tratta di una specie le cui caratteristiche vantano punti di contatto tanto con l’Australopiteco che con le altre specie di Homo: alto circa un metro e mezzo, le caratteristiche fisiche dovevano ricordare perlopiù le proporzioni degli Homini – morfologia del cranio, delle mani e degli arti superiori e inferiori – ma le dimensioni del cervello erano assimilabili a quelle del più antico Australopiteco.

Negli ultimi mesi la scoperta che potrebbe svelarsi rivoluzionaria: nelle grotte del complesso Rising Star, afferente al sito della Culla dell’Umanità, sono stati rinvenuti alcuni fossili di Homo nalendi in posizione fetale, cosa che suggerirebbe una sepoltura intenzionale da parte dei loro simili. Benché l’effettiva intenzionalità della sepoltura sia ancora oggetto di discussione accademica, è evidente come una scoperta del genere potrebbe far vacillare alcuni dei pilastri scientifici, storici e antropologici.
Lee Berger, leader della spedizione che ha rinvenuto i fossili a 30 metri di profondità e ricercatore presso l’Università di Witwatersrand, ha dichiarato: «penso che ci troviamo di fronte a una scoperta straordinaria: ominidi con un cervello grande un terzo di quello degli esseri umani viventi e di poco più grande di quello degli scimpanzé seppellivano i loro morti».

Ricostruzione della grotta del complesso di Rising Star

Fino ad oggi, infatti, si è fatta coincidere la capacità di astrazione, indissolubilmente legata ai riti funebri, con le dimensioni del cervello. Le prime sepolture verificate e accettate dalla comunità scientifica risalgono infatti solamente a 100 mila anni addietro e sono tutte ad opera dell’Homo Sapiens, cui sono state attribuite le capacità immaginative e di socializzazione richieste per prendersi cura dei propri morti e di seppellirli. Tra gli altri indizi che sosterrebbero l’ipotesi di Lee Berger si annoverano anche resti di carbone e piccoli fossili, il che suggerirebbe che gli Homini nalendi si siano addentrati a 30 metri di profondità equipaggiati con tizzoni ardenti e altri utensili per attuare pitture sulle pareti della grotta – portando con sé, naturalmente, i membri del gruppo che avrebbero poi sepolto.
A corroborare l’ipotesi di Berger sarebbero proprio i pietroglifi ritrovati nelle zone limitrofe, la chiave di volta per comprendere le usanze dell’Homo nalendi: la possibilità di interpretarli e datarli correttamente potrebbe indicare le intenzioni degli ominidi, nonché portare luce circa i loro rituali sociali e religiosi.

Ricostruzione dell’Homo nalendi

Quella di cui si sta parlando è tuttavia un’ipotesi non ancora comprovata: le ricerche di Berger e degli altri studiosi sudafricani sono tuttora soggetto di un’approvazione peer review, che arriverà nei prossimi mesi. Dalla comunità scientifica iniziano inoltre a giungere le prime voci fuori dal coro, tra cui quella di María Martinón-Torres, direttrice del Centro nazionale di ricerca sull’evoluzione umana in Spagna, secondo cui il sito del ritrovamento si tratterebbe in realtà di un deposito funerario piuttosto che un vero e proprio luogo di sepoltura. Ciò non toglie, tuttavia, che anche l’ipotesi del deposito funerario indicherebbe una spiccata capacità organizzativa sociale, nonché una dote astrattiva particolarmente sviluppata – caratteristiche, queste, pur sempre innovative nel quadro evolutivo che finora è stato dipinto e studiato.
Insomma, il carattere rivoluzionario della scoperta rimane indubbio, rimane da verificare la magnitudine dello sviluppo cognitivo di una specie di cui si sa ancora ben poco, quella degli Homini nalendi.

Rebecca Isabel Siri

Crediti immagine di copertina di Instagram: https://www.focus.it/scienza/scienze/homo-naledi-piu-domande-che-risposte-e-qualche-dubbio; https://www.fr.de/wissen/zeitgenosse-homo-sapiens-kein-vorfahr-11053054.html

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