Dall’età del ferro ai giorni nostri
Con l’arrivo dell’età del ferro, all’incirca nel 1200 a.C., anche sulla penisola italiana inizia uno sviluppo demografico simile a quello visto tra l’8000 e il 5000 a.C. nell’Est del Mediterraneo.
In questo periodo le popolazioni stanziate sul suolo italico vedono una forte crescita demografica che comporterà la nascita, tra le altre, delle civiltà latina ed etrusca.
Gli etruschi, discendenti della cultura villanoviana, originaria principalmente di Toscana e Lazio, non avranno un grande impatto sulla genetica italiana, mentre per apprezzare quello dei latini bisognerà aspettare qualche secolo.
A partire dall’VIII secolo a.C. è invece un’altra popolazione ad influenzare questo pool genico: i Greci.
Colonizzatori provenienti da diverse città stato iniziano a stanziarsi sulle coste dell’Italia meridionale conquistando territori che in futuro saranno conosciuti come Magna Grecia.
Durante l’occupazione queste colonie fungono da appoggio per costanti spostamenti degli abitanti tra Italia e territori d’origine.
In questo periodo, inoltre, nonostante fossero stanziati in Nord Africa circa dal IX secolo a.C., i Punici, un popolo semita originario della Fenicia, iniziano a espandersi in Sicilia e Sardegna.
Il loro arrivo apporta un altro contributo genetico, in parte originario delle steppe dell’Asia centrale e in parte iranico, con in più una componente nordafricana acquisita durante la permanenza sulla costa meridionale del Mediterraneo.
Nel frattempo, la civiltà latina ha avuto modo di svilupparsi nella Repubblica romana che, dapprima alleata con i Cartaginesi, sconfigge Pirro, re dell’Epiro, un nemico comune chiamato da Taranto contro Roma e da Siracusa contro Cartagine. La sua uscita di scena spinge Siracusa a cercare di espandersi verso Messina, che chiede aiuto sia a Cartagine che a Roma, rompendo la simmetria di interessi creatasi tra le due potenze e dando inizio a più di un secolo di guerra.
Negli anni del conflitto Taranto viene distrutta, portando all’annessione della Magna Grecia ai territori Romani, e infine Cartagine è sconfitta, atto che sancisce l’egemonia di Roma sul Mediterraneo.
Durante la restante parte della Repubblica e poi per la durata dell’impero, l’Urbe diventa il centro di una migrazione da tutte le parti più ricche e densamente popolate dei suoi territori.
In questa fase il centro Italia incorpora componenti principalmente di origine medio-orientale e nordafricana che aumentano ulteriormente la variabilità genetica di questa regione.
Arrivati a questo punto, il cittadino romano medio non è così diverso da un moderno italiano, e la differenza si fa ancora più piccola se guardiamo solo gli italiani del Sud.
Gli oltre 1500 anni che ci separano dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente non hanno lasciato un’impronta particolarmente profonda nella genetica della popolazione.
Gli effetti dello scisma dell’impero in due entità politiche separate si sono limitati perlopiù al bloccare il flusso genico est-ovest, mentre non è chiaro se l’arrivo dei Longobardi abbia influenzato in maniera significativa la genetica degli abitanti locali con componenti del centro Europa, ma anche questo è probabilmente trascurabile.
Come accennato precedentemente, oggi la popolazione italiana è ancora molto simile a quella di un millennio e mezzo fa, con alcune piccole differenze dovute a un flusso genico nord-sud. In particolare al nord gli abitanti hanno generalmente più antenati di origine germanica, mentre in Sardegna la maggior parte del DNA arriva dagli agricoltori Sud-anatolici che per primi vi ci sono insediati.
L’Italia, grazie ai numerosi e diversificati antenati dei suoi abitanti, è quindi il Paese dalla più alta variabilità genetica in Europa, e conserva nella sua popolazione le tracce della sua ricca storia.
Mario Colabello
Sitografia:
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