Le storie di Odisseo, Teseo, Achille ed Ercole ci sono sicuramente familiari, perché — bene o male — quasi tutti abbiamo incontrato questi personaggi nel percorso scolastico. Tuttavia, l’approccio adottato tende a rendere questi racconti noiosi e sicuramente poco facili da digerire. Negli ultimi anni, però, è nata una tendenza molto interessante: la rilettura del mito classico. Sia chiaro, la rilettura non è un processo nuovo e vivo soltanto nel nostro tempo, ma l’exploit di pubblicazioni a tema classico è incrementato con le letture “di consumo”. Sempre più libri con protagonisti gli eroi e le eroine greche, e non solo, vengono pubblicati e acquistati, riportando a galla vicende che non ci suonano estranee e che suscitano da sempre un certo interesse.
Nell’articolo su Julia Webster avevo parlato della sua rilettura del mito di Circe, il che conferma che le riletture non sono esclusive del XXI secolo, e infatti una direzione che veniva e viene adottata è di ritrovare le figure femminili della classicità e darne un’interpretazione dal loro punto di vista. Questo è accaduto con Circe e con Penelope. Nel primo caso, il romanzo di Madeline Miller è il fiore all’occhiello delle riletture, perché non solo ripercorre tutta la storia del mito, ma le dà la voce: il racconto è infatti tutto in prima persona. Vengono ripercorse tutte le tappe della vita della maga, dall’esilio sull’isola di Eea all’incontro con Odisseo e alla nascita di Telegono, ma ciò che emerge maggiormente è l’ingiustizia subita come donna. Circe è una dea, è figlia del titano Elios, non è certo soggetta alle leggi dei mortali, eppure “patisce” le sorti che il mondo greco non risparmiava alle donne: viene più volte picchiata e violentata da marinai che arrivano sulla sua isola e che, vedendola, pretendono di possederla. E così Circe sfodera le sue abilità di maga e inizia a difendersi offrendo loro — senza seduzione erotica — una bevanda contenente un liquido rinvigorente, il ciceone. Non è certo la versione che viene raccontata a scuola: quante volte si è additata la maga come strega per aver giocato questa carta? Quante volte ci si è soffermati a pensare a una cosa molto semplice e per niente scontata: chi è che racconta della maga? Lo fa Odisseo, alla corte dei Feaci; ovvero, un uomo, che dopo aver vissuto con la dea per circa un anno ed essersi fatto aiutare a costruire una barca per tornare a casa, la ringrazia dandole tutte le colpe del mondo. Eppure — e questo è ben presente nel libro di Miller — Circe non seduce i compagni di Odisseo per poi trasformarli in porci, bensì, quando arrivano, lei, da brava padrona di casa, offre una bevanda e nulla più.
Il caso di Penelope è altrettanto interessante perché di questo personaggio ci arriva sempre la fedeltà nei confronti del marito, che la spinge ad aspettarlo per più di vent’anni. Ora, questo aspetto potrebbe essere il più romantico del mondo o il più deleterio, perché, da un lato, è costretta a far fronte alle pretese degli “spasimanti” (che, no, non si chiamano “proci”, ma “procoi”, “pretendenti”), dall’altro non può esercitare il suo ruolo di regina. Per questa ragione ci sono state diverse riletture che hanno cercato e trovato il suo punto di vista, come il romanzo Il canto di Penelope di Margaret Atwood.
Il romanzo di Atwood si apre con Penelope nell’Ade che esordisce con questa frase «Ora che sono morta so tutto» e prosegue raccontando la sua storia, dimostrandosi consapevole di ciò che è stato detto su di lei. E questo perché, come dice lei stessa, la storia è stata raccontata dal marito e molti hanno ritenuto autentica solo quella, sebbene a tratti fosse paradossale. E aggiunge che anche gli aedi e i cantastorie hanno creduto a questa versione e, nel riportare anche la sua storia, l’hanno resa un «un bastone con cui picchiare le altre donne». E allora lei vorrebbe dire alle altre di non seguire il suo esempio, ma la sua voce non è mai stata ascoltata perché le è stata tolta da quella tradizione che l’ha vista unicamente come la fedele e silenziosa moglie di Odisseo. L’unica cosa che può fare ora che è nell’Ade è riappropriarsi di quella voce e usarla, anche se si sentiranno solo bisbigli.
La rilettura del mito classico serve, in fondo, a questo: non cristallizzarsi sulla versione che è stata scelta da una certa tradizione, ma cercare di andare più in profondità e riportare alla luce ciò che è stato dato in pasto al buio.
Alessandra Tiesi
Fonti e consigli
Margaret Atwood, Il canto di Penelope, 2005.
Madeline Miller, Circe, 2018.
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