I falsi d’arte: da Fedro a Modì, una storia lunga millenni

Da che si produce arte, l’essere umano ha sentito il bisogno di trarre ispirazione, di recare omaggio, di copiare le opere e gli artisti più celebri. È così che nasce quello che noi oggi definiamo un falso d’arte: l’imitazione o la replica di un qualcosa già esistente per mezzo di mani completamente diverse. La storia dei falsi è una storia millenaria, ricca di casi documentati ampiamente già in epoca della Roma repubblicana.
Le vicende che si annoverano s’intrecciano immancabilmente con la Storia e con l’Arte, ma sono anche una vivida testimonianza dell’evoluzione del concetto di falso, che non sempre ha avuto la medesima (pessima) concezione che oggi si trascina dietro.

In antichità come oggi, infatti, i falsi erano estremamente diffusi: affrontano la questione Fedro e poi Plino il Vecchio, commentando l’esubero di opere firmate Mirone e Prassitele, frutto di autori e artigiani sconosciuti. Da ciò che emerge dai testi antichi, infatti, la contraffazione altro non era che un modo per soddisfare la domanda d’arte – una questione di mercato, insomma.
Secondo lo storico dell’arte Massimo Ferretti, dunque, «non esiste falso senza collezionismo»: allora come oggi, a fronte di una notevole domanda, il mercato deve aumentare la propria offerta. E lo fa, naturalmente, con i falsi.
Ma se un tempo il tema della contraffazione non scandalizzava come oggi, ai giorni nostri la concezione sacrosanta di diritto d’autore ha sensibilizzato fortemente il pubblico in materia. Ecco quindi cinque vicende simbolo di epoche, culture e mentalità differenti che però convergono in un unico punto: sono storie di falsi.

Michelangelo Buonarroti e il Cupido dormiente

In pieno Rinascimento copiare i maestri del passato era una pratica piuttosto comune e faceva parte del processo di crescita artistica di ciascun autore. Il gusto per il classico, inoltre, era fonte d’ispirazione per i novelli artisti e gli apprendisti in genere: è così che ha inizio la storia del Cupido dormiente, statua di Michelangelo ormai andata perduta.

I biografi e gli storici, tra cui Vasari, restituiscono un ritratto evocativo dell’opera: Dio d’amore, d’età di sei anni in sette, à iacere in guisa d’huom che dorma. In effetti nel 1496 Lorenzo de’ Medici aveva commissionato a Michelangelo una statua d’ispirazione classica: l’iconografia del Cupido dormiente era appunto piuttosto diffusa nell’Antica Grecia e pare che l’opera finalizzata da Michelangelo fosse così simile a una statua risalente all’antichità da poter essere scambiata come tale.
La cosa non sorprende: la formazione dello scultore, unita alla natura del soggetto, diede un tocco ambiguo al Cupido, tanto che Antonio Maria Pico della Mirandola la descrisse come «un Cupido che giace e dorme posato su una mano: è integro ed è lungo circa quattro spanne, ed è bellissimo; c’è chi lo ritiene antico e chi moderno; comunque sia, è ritenuto ed è perfettissimo».

Statua di epoca romana raffigurante un Cupido dormiente, iconografia cui Michelangelo si ispirò tra il 1495 e il 1496.


E fu proprio Lorenzo de’ Medici stesso, vista la straordinaria somiglianza a un’opera antica, a suggerire di sotterrare il Cupido e dissotterrarlo più tardi, simulando un ritrovamento archeologico. Complice dell’inganno fu anche il mercante d’arte Baldassarre del Milanese – pare invece che Michelangelo fosse stato tenuto all’oscuro – che vendette la statua al cardinale San Giorgio di Raffaele Riario, spacciandola per un originale, per ben duecento fiorini.

Un falso accidentale, insomma, che ebbe breve vita: ben presto la frode venne a galla e il cardinale chiese che gli venisse restituita la somma spesa, pur riconoscendo il valore intrinseco dell’opera – tanto da voler conoscere Michelangelo per poi introdurlo ad alcuni dei suoi prossimi committenti.

Marcantonio Raimondi e Albrecht Dürer: il primo caso di «battaglia» dei diritti d’autore

Uno dei falsari più noti è Marcantonio Raimondi: una delle maggiori controversie che lo coinvolse, insieme con il più noto artista tedesco Dürer, è oggetto di uno dei brani del Vasari.
Lo storico dell’arte scrive infatti che Raimondi riprodusse diciassette tavole – sulle venti totali della serie Vita della Vergine – di Dürer e successivamente la Piccola passione, forse acquistando gli originali a Venezia.

Una delle immagini rappresentate nella serie Vita della Vergine


In realtà Dürer soleva firmare le proprie opere con le iniziali AD, che pure furono copiate da Raimondi, rendendo le sue opere dei veri e propri falsi, assolutamente intenzionali.
Le riproduzioni delle xilografie originali furono inoltre realizzate usando una tecnica di bulino, risultando spesso più belle e con tratti maggiormente definiti, imitando quasi esattamente tutti i solchi tracciati. Vasari racconta che Dürer, vedendo queste copie, s’infuriò terribilmente: non solo l’artista italiano stava guadagnando attraverso la commercializzazione di opere copiate, ma proprio attraverso la copiatura aveva carpito e violato le idee e l’immaginazione dell’autore tedesco. Era infatti questo ultimo punto a essere recriminato fortemente a Raimondi: quello che oggi noi chiameremmo violazione del diritto d’autore.
Dürer infine chiese alla Repubblica di Venezia di vietare la copia delle serie; tuttavia, ottenne solamente il divieto di riprodurre le famose iniziali.

L’inganno di Anton Raphael Mengs

Il caso di Giove e Ganimede è parimenti un altro esempio di un ottimo falso che ingannò i suoi contemporanei – almeno per qualche tempo.
L’affresco di Giove che bacia Ganimede venne realizzato nel 1758 per mano di Anton Raphael Mengs, che voleva dimostrare le fallacie nelle teorie dello storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann – nonché suo amico – circa la pittura antica. Egli infatti sosteneva che i Romani non usassero la tecnica dell’affresco, ma dipingessero a tempera sui muri.
Mengs simulò di aver scoperto l’opera in un sito a Portici: la pittura era appunto un’imitazione perfetta dei resti sinora trovati, pensato nei minimi dettagli e invecchiato in maniera plausibile. Lo presentò a Winckelmann, che ne rimase oltremodo impressionato e entusiasta, includendolo nel suo libro sulla Storia dell’Arte.

Giove che bacia Gamenide, 1758


Una beffa, insomma, che mirava a smontare le convinzioni artistiche di Winckelmann, un tale amante dell’arte classica da infatuarsi completamente di quel nuovo ritrovamento che avrebbe arricchito così tanto il patrimonio artistico mondiale. Lo storico, conscio della scarsità di opere rimaste della pittura greca, fu talmente impressionato da questa presunta scoperta da affermare che l’opera superasse qualsiasi precedente ritrovamento ad Ercolano.
Pare, però, che le ragioni di Mengs fossero anche altre: tra i motivi del falso si pensa che l’autore abbia voluto deridere pubblicamente le preferenze sessuali di Winckelmann, additando la sua omosessualità come criterio fondante della sua concezione estetica.
Solo poco prima di morire Mengs confessò l’inganno alla sorella di Winckelmann.

Icilio Federico Joni e la sigla PAICAP

Nato nel 1866 a Siena, Icilio Federico Joni si distinse come autore brillante, irriverente e soprattutto beffardo: dopo aver ricevuto un’istruzione artistica, l’autore si rese conto di quanto fosse remunerativo il mercato dell’arte antica e medievale. Negli ultimi anni dell’Ottocento, in realtà, anche il mercato dell’arte contemporanea stava raggiungendo il suo picco, ma inserirsi nel mondo dell’arte era oltremodo difficile per un autore emergente e di umili natali come Joni.

Egli divenne dunque uno specialista nella produzione di falsi d’arte, venduti con il termine “falsi d’autore“. Per quanto le sue opere venissero spacciate come originali, Joni non si limitò mai a copiare: la sua educazione senese, che ai tempi si focalizzava su un gusto medievaleggiante, affinò la sua sensibilità artistica e lo rese in grado di produrre manufatti geniali e soprattutto personali.
I dipinti finirono nelle mani di noti collezionisti esteri e diventano molto popolari, spesso surclassando gli originali e finendo per essere esposti in musei di rilevanza internazionale. Creò diverse opere, soprattutto ritratti di Madonne ispirate a pittori senesi del passato. Nonostante le sue imitazioni fossero scambiate per originali a causa della loro alta qualità, una piccola firma, PAICAP, su alcuni dipinti, rivela la sua identità.
Ma per cosa stava PAICAP? Dopo i primi tentativi di scoprire il significato della sigla, Joni stesso ammise che indicava invece il goliardico motto per andare in culo al prossimo.

Icilio Federico Joni


Gli esperti, nonostante riconoscessero la sua maestria nel creare opere difficilmente distinguibili dalle originali, alla fine individuarono i falsi. Ciò non fece che accrescere la fama di Joni, nonostante la scoperta delle sue contraffazioni avesse causato confusione tra i collezionisti e gli acquirenti, che temevano di essere stati ingannati.
Col tempo emerse che Joni non era stato l’unico artista a produrre falsi d’autore, ma che aveva agito circondato da altri che praticavano la medesima attività. La sua abilità andava oltre la semplice imitazione, poiché aggiunge sempre un tocco personale e originale ai suoi dipinti, rendendoli unici nonostante fossero delle contraffazioni.

Il ritrovamento dei Modì

Quello delle teste di Modigliani è forse l’incidente più controverso del Ventesimo secolo: nel luglio del 1984, nel canale di Livorno, furono rinvenute teste scolpite, statue che vennero immediatamente attribuite a Modigliani.
L’idea di drenare il canale sottendeva la volontà di verificare la veridicità della leggenda circa alcune sculture apparentemente gettate da Modigliani nel canale nel 1909, durante un breve soggiorno livornese.

Le tre teste ritrovate a Livorno nel luglio del 1984


Come ben si sa, le teste erano in realtà state create da Angelo Froglia, un giovane pittore livornese, e da alcuni amici come uno scherzo. L’episodio divenne ben presto un caso culturale rilevante in Italia e critici d’arte del calibro di Giulio Carlo Argan attribuirono la paternità delle teste a Modigliani.
A circa un mese dal ritrovamento, nel bel mezzo della bufera mediatica che ne era conseguita, i veri autori confessarono la beffa, mostrando prove della loro falsificazione sia a Panorama che in diretta TV, scolpendo di nuovo delle teste simili a quelle ritrovate in una manciata di minuti.

Rebecca Siri

Crediti immagini: Google Arts and Culture, Ars Value, Flickr, Wikipedia, insideart

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