Il titolo è una citazione del discorso con cui il maestro Riccardo Muti, classe 1941, proveniente da Napoli, ha introdotto alla gremita platea del Teatro Regio di Torino la prova generale del Ballo in maschera di Giuseppe Verdi, aperta al pubblico tramite l’iniziativa “anteprima giovani”, rivolta agli under30. Con questa frase il direttore intendeva riferirsi alle polemiche sorte in seguito alla sua decisione di non modificare il libretto, in cui sono presenti termini oggi considerati razzisti e offensivi. Il Muti ha sostenuto di aver fatto questa scelta per preservare la storicità dell’opera e stimolare le nuove generazioni a riflettere sul tema della censura. Già all’epoca della stesura, l’opera fu pesantemente rimaneggiata più volte (soprattutto a causa del tentato regicidio di Napoleone III per mano di Felice Orsini, il 14 gennaio 1858).

Cortesia del Teatro Regio. https://www.teatroregio.torino.it/sites/default/files/styles/full/public/uploads/opera/5641/gallery/Ballo%20in%20maschera%20-%20Riccardo%20Muti%20%28foto%20Silvia%20Lelli%29.jpg?h=0449e2a0&itok=TyaDaxEI
Veniamo ora allo spettacolo in sé. Da un punto di vista tecnico, la messa in scena è stata sontuosa e perfetta sotto ogni aspetto, specialmente scenografico. Il maestro Muti, col suo polso d’acciaio, ha fatto vibrare ogni emozione che Verdi intendeva suscitare attraverso la sua opera – non a caso, una delle sue preferite. Un ballo in maschera, esordito nel 1859 al Teatro Apollo di Roma (ormai prossimo alla chiusura), è infatti una produzione decisamente particolare nel repertorio verdiano, con un utilizzo massiccio di immaginari esoterici e mistici, dai tratti shakespeariani e dai forti rimandi settecenteschi. Il tutto imperniato su un dramma d’amore che però non ha quella verve melodrammatica del Verdi della maturità. Serve indubbiamente una mano severa ma soave per far funzionare tutto ciò, e il maestro Muti ha dato prova di possederla. Benché, come da lui stesso dichiarato, non dovesse dimostrare niente. «Non è piaggeria, non ho bisogno di far carriera», ha detto mentre complimentava il teatro per il bell’ambiente in cui ha avuto modo di lavorare.
Se proprio qualche pelo nell’uovo va trovato, si tratta di uno storico rimprovero di alcuni fanatici dell’opera: Muti tende a privilegiare l’orchestra rispetto alle voci. Non è dato dire con esattezza se anche questa volta sia stata intenzionale o se sia dovuta all’infelice acustica del Teatro Regio (dovuta a problemi legati alla cornice del palco), tuttavia anche la sera dell’anteprima giovani è stato possibile notare questa particolare caratteristica. Va sottolineato che si tratterebbe, comunque, semplicemente di una preferenza del direttore d’orchestra.

Cortesia del Teatro Regio. https://www.teatroregio.torino.it/sites/default/files/styles/full/public/uploads/page/837/cover/sala-teatro-regio-2008-6271920.jpg?itok=8oAU3Qyy
Un plauso doveroso va ai cantanti, tutti eccelsi, in particolare Luca Micheletti, baritono, nel ruolo di Renato (il miglior amico e poi uccisore del conte Riccardo, governatore di Boston) e Lidia Fridman, soprano, nel ruolo di Amelia (moglie di Renato e amore infelice di Riccardo). Il Micheletti ha riempito il ruolo con una voce corposa e ben controllata, la Fridman è stata cristallina e scintillante. Inutile parlare dell’orchestra, di livello tecnico impressionante, che rispetta ogni aspettativa.
Per concludere, uno spettacolo straordinario. Con una messa in scena d’altri tempi, il Teatro Regio e il maestro Muti hanno creato un’ottima occasione per avvicinare i giovani alla musica classica (da sempre ingiustamente relegata ad ambiti snob e inaccessibili), oltre ad aver fornito uno spunto di riflessione personale sulla questione dell’adattamento di opere storiche alle sensibilità contemporanee. Riccardo Muti ci ha regalato emozioni che le parole non riescono a rendere al meglio, nella splendida cornice di uno dei teatri dell’opera più prestigiosi del Paese.
Vincenzo Ferreri Mastrocinque
