Attivista per i diritti delle donne arrestata

Fuggire da un paese in cui si è oppressi è un atto di speranza, di fede, un atto di emancipazione che vi obbliga a rischiare il tutto per tutto per la libertà. Immaginate ora questo scenario: siete una donna attivista iraniana che combatte contro il regime oppressivo di Teheran per far valere i diritti delle donne e ogni giorno vi svegliate consapevoli che quel giorno potrebbe essere l’ultimo.

Siete a conoscenza di come la polizia morale possa essere violenta, autoritaria, ma non vi fa paura, continuate a combattere per difendere ciò in cui credete. Passano gli anni, la situazione in Iran peggiora e ora siete consapevoli che se rimanete lì il vostro destino sarà o la prigione o, peggio ancora, la morte. Allora decidete di scappare, di fuggire lontano dalla polizia morale, fino ad arrivare in Italia, speranzose che la vostra vita da lì possa ricominciare, che non possa in nessun modo essere peggio di prima, ma invece non è così. 

Il caso di Maysoon Majidi

Maysoon Majidi, iraniana 27enne attivista per i diritti delle donne, dopo esser scappata dal regime che la opprimeva è giunta a Crotone nel dicembre dell’anno scorso. Dal 31 di quel mese si trova  rinchiusa in un carcere in Calabria con l’accusa di essere una “scafista”, e cioè di essere responsabile dell’imbarcazione che trasportava immigrati clandestinamente.

Le uniche testimonianze, in seguito ritrattate e con evidenti errori di traduzione, sono quelle di due persone che, avendo partecipato al viaggio, hanno affermato come lei sembrasse “vicina” ai soggetti che dirigevano la barca durante la traversata. Questo è sembrato sufficientemente attendibile agli inquirenti per incarcerla e farla rimanere mesi e mesi in detenzione

Perché Majidi è scappata?

In seguito alla morte di Mahsa Amini, uccisa nel 2022 per aver indossato male l’hijab, associazioni come “Donna, Vita, Libertà” si sono mobilitate per protestare contro le ingiustizie del governo iraniano

La risposta del regime non si è fatta attendere: per limitare la comunicazione tra i manifestanti il governo ha interrotto l’accesso a Internet, provocando black out e limitando l’uso dei social media. Per calmare le proteste sono stati utilizzati gas lacrimogeni e colpi di arma da fuoco.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite: sarebbero 551 i manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza, tra cui almeno 49 donne e più di 60 minori. Il Guardian, quotidiano britannico, ha descritto le manifestazioni come la “minaccia maggiore al governo dalla rivoluzione islamica iraniana del 1979”.

Un’altro strumento di repressione utilizzato è stata la pena di morte: nel 2021 i casi si attestavano a circa 314, nel 2022 a 576, nel 2023 a 853 (anno in cui l’Iran è stato protagonista del 74% del numero delle pene di morte globali). 

La risposta della politica italiana

Laura Boldrini, presidentessa del Comitato diritti umani della Camera, ha indetto con l’aiuto di Marco Grimandi (AVS) e Luigi Manconi una conferenza stampa il 18 luglio così da poter indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica verso la situazione di Majidi.

Si è riflettuto anche su come, molto spesso, le persone che scappano da violenze, guerre, catastrofi climatiche finiscano per essere private della loro libertà quando arrivano in quei Paesi da cui tanto vorrebbero invece venir salvati. 

Majidi, riporta Boldrini, «È dimagrita almeno di 15 chili. È impressionante la differenza tra i video di Maysoon prima della detenzione e come sta adesso». Manconi invece afferma che gli articoli 12 e 12 bis del testo unico sull’immigrazione sono così «approssimativi e mal fermi da poter essere manovrati» e spiega come la norma, la quale dovrebbe contrastare l’immigrazione irregolare, diviene il più delle volte un’arma per colpire chi rischia la vita per raggiungere l’Italia, piuttosto che fermare i trafficanti a capo del sistema. 

Non è un caso isolato

Marian Jamali, 29 anni iraniana, nel 2023 è scappata dal suo Paese per sfuggire alla repressione, giungendo il 26 ottobre nella penisola italiana. Accusata di essere scafista, è stata incarcerata senza realmente mai comprenderne le motivazioni, infatti – citando Parisa Nazari, attivista del movimento “Donna, Vita, Libertà” – sarebbero state le compagne a spiegarle a gesti le ragioni della sua detenzione. L’attivista ha poi riferito come non sarebbero mancati tentativi di suicidio in carcere da parte della donna.

Il quadro si fa più oscuro, le testimonianze che la incolpano di essere a capo dell’imbarcazione provengono da due uomini che hanno partecipato al viaggio con lei, gli stessi che lei ha denunciato per molestie sessuali

Il caso di Jamali continua, e ora lei attende agli arresti domiciliari l’inizio del suo processo

Conclusione

Il processo di Majidi è indetto per il prossimo 24 luglio: la sua assurda storia ci dimostra come le politiche immigratorie non svolgano ancora il loro compito adeguatamente e non considerino svariate casistiche proprie dell’intricato mondo dell’immigrazione.

Il processo è solamente un’altra sfida che l’attivista dovrà affrontare; forse, dopo, riuscirà finalmente a essere libera.

«Sono venuta in Europa con la speranza di trovare una nuova casa e una nuova vita in una nazione in cui i diritti umani, libertà e dignità dell’individuo hanno valore. Vi prego di non lasciarmi sola. La vostra azione può fare la differenza tra speranza e disperazione, tra libertà e prigionia…»

Maysoon Majidi in una lettera inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Octavio Moretto

Crediti immagine di copertina: https://www.pressenza.com/it/2024/07/liberta-mejidi-jamali/

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