
Il 9 settembre, Mario Draghi, ex-presidente della Banca Centrale Europea, ha presentato a Bruxelles un rapporto in cui individua le tappe di un percorso che l’Unione Europea necessita di intraprendere per incrementare la competitività, lasciandosi alle spalle gli ostacoli strutturali che negli ultimi anni hanno reso sempre più difficile reggere il confronto con Stati Uniti e Cina.
L’obiettivo dell’Europa unita è stato definito una vera e propria “sfida esistenziale” che, per essere affrontata, richiede ingenti investimenti (fino a 800 miliardi di euro l’anno), destinati in particolare ai settori di innovazione, clima e difesa ma, il resoconto, include anche strategie e direttive relative a produttività, riduzione delle dipendenze e inclusione sociale.
Alcuni degli aspetti su cui lavorare, secondo Draghi, sono la scarsa innovazione, i prezzi energetici elevati, i gap tecnologici e l’accelerazione della digitalizzazione, a cui si aggiunge la mancata coesione dei Paesi dell’Unione, i quali aspirano a fini comuni ma non agiscono per mezzo di “azioni politiche congiunte”, in parte per via della poca chiarezza delle norme. Il risultato è l’inefficace impiego delle risorse a disposizione, ragion per cui non è garantito uno stato di parità economica rispetto alle altre potenze mondiali.
Una delle difficoltà rispetto all’integrazione tra gli Stati membri è individuato nel voto all’unanimità, attualmente previsto per deliberare in merito a questioni di politica fiscale ed estera. Una possibile soluzione proposta consiste nell’estensione del voto a maggioranza qualificata, introdotto con il Trattato di Lisbona nel 2009, il quale si basa su una doppia maggioranza (Stati membri e popolazione): un provvedimento viene adottato solo se sostenuto da almeno il 55% degli Stati membri, che rappresentano almeno il 65% della popolazione dell’UE. Tale sistema assicura maggiore rapidità nelle decisioni, in quanto non prevede il diritto di veto, ma gli Stati minori risultano svantaggiati rispetto a quelli popolati da un maggior numero di abitanti.
Dal punto di vista finanziario, Draghi si sofferma sulla questione del debito, strettamente legata agli investimenti. L’UE dovrebbe procedere a emettere strumenti di debito comune, finalizzati a sostenere investimenti per aumentare competitività e sicurezza, che dovrebbero essere pari al 4,4-4,7% del Pil europeo nel 2023, il doppio di quanto investito nel Piano Marshall, approvato dal Congresso statunitense nel 1948. Uno degli ambiti in cui risulta necessario concentrare le risorse è quello della Ricerca e Sviluppo, in particolare nel campo della difesa e per regolare la cooperazione industriale.
Fondamentale, nel rapporto, risulta essere la questione della decarbonizzazione, realizzabile per mezzo di politiche volte a ridurre le emissioni di anidride carbonica. Draghi ritiene che attenersi al Green Deal sia una possibilità di crescita, non un ostacolo, al contrario individuato nel disallineamento delle iniziative legate al settore delle tecnologie di decarbonizzazione, che comunque in Europa si mostra in via di sviluppo, considerando che i nuovi brevetti sono per il 25% europei.
La strada indicata per diminuire le emissioni è la massiccia diffusione di fonti energetiche pulite con bassi costi di generazione, ad esempio energie rinnovabili e nucleare. L’analisi effettuata rileva il potenziale dell’energia solare ed eolica nell’Europa del sud, la quale, se correttamente sfruttata, risulta particolarmente competitiva dal punto di vista dei costi.
Per ridurre le dipendenze strategiche, in particolare dalla Cina, che si configura come primo esportatore in campo automobilistico e digitale, si propone di avviare politiche volte a garantire materie prime, di rafforzare le industrie europee della difesa e dello spazio, di accelerare l’innovazione e di firmare accordi con i paesi produttori al fine di appoggiarli e condurli nella direzione della decarbonizzazione.
Un altro rilevante problema sottolineato consiste nella crisi della democrazia liberale, che deriva da una crescente sfiducia nelle istituzioni, la quale investe non soltanto l’Europa, ma il mondo interno, stando a quanto riportato dall’OCSE nel rapporto “Trust Survey – 2024 Results: Building Trust in a Complex Policy Environment”.
“Se l’Ue non può più fornire pace, equità, libertà e prosperità non ha motivo di esistere” ha affermato Draghi, sottolineando i principi sulla base dei quali si fonda l’integrazione europea sin dal 1957, quando è stata istituita la Comunità Economica Europea, divenuta Unione nel 1992. Si impone dunque la necessità di ricostruire la credibilità delle istituzioni attraverso un’azione coordinata ed efficace, secondo le direttive indicate, le quali dovrebbero garantire crescita economica e miglioramenti in ambito sociale.
Gaia Romano

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