La gestazione per altri è reato universale: tra legge e retorica

Negli ultimi giorni si è riaperto il dibattito sulla legittimità della pratica di procreazione assistita che prende il nome di “gestazione per altri” (GPA), in cui una donna (la “madre surrogata”) intraprende una gravidanza per conto di una o più persone che non possono avere figli per svariate ragioni.

Si tratta di una procedura illegale in Italia dal 2004, anno in cui fu firmata la Legge 40 che regolamenta l’accesso alla procreazione medicalmente assistita (Pma), a cui è consentito fare ricorso “qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità“. Occorre specificare che tali procedure sono accessibili esclusivamente a “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.Nel 2014 la Corte Costituzionale, tramite la sentenza 162, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto, previsto dalla Legge 40, di fecondazione eterologa, in cui uno dei due gameti (maschile o femminile) proviene da un donatore esterno alla coppia.

Nonostante la parziale apertura sopracitata, la regolamentazione italiana circa le procedure di Pma risulta maggiormente restrittiva rispetto ad altri Paesi, per esempio alla Spagna, in cui, per accedervi, non sono previste clausole relative allo stato civile e all’orientamento sessuale. Tale esclusività pone il problema del cosiddetto “turismo procreativo”, che consiste nella decisione di un ingente numero di italiani di sottoporsi ai trattamenti di fecondazione assistita all’estero.

Pochi giorni fa abbiamo assistito ad una radicalizzazione del divieto: il 16 ottobre la proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia per rendere la GPA un reato universale è stata definitivamente approvata.

Risulta ora opportuno analizzare brevemente il concetto di reato universale, a cui l’opposizione, nel criticare l’approvazione del disegno di legge, fa esplicito riferimento: esso denota un crimine perseguibile secondo la legge di un Paese, indipendentemente dal luogo in cui è stato commesso, ossia permette di estendere la giurisdizione di uno Stato oltre i suoi confini nazionali.

A suscitare perplessità è il fatto che la categoria di reato universale sia, dalle sue origini, tendenzialmente riferita a crimini di indubbia gravità, quali genocidi, crimini di guerra o contro l’umanità, in quanto riconosciuti come tali a livello internazionale. Si tratta di un concetto che ha le sue radici nel XVII secolo, quando fu introdotto per processare pirati e trafficanti di schiavi, responsabili di delitti commessi in aree non appartenenti ad alcuno Stato in particolare e perciò al di fuori di qualsiasi giurisdizione.

In seguito, il principio di giurisdizione universale fu applicato a casi noti a livello mondiale: uno degli esempi più significativi è il processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista, processato a Gerusalemme nel 1961 per i crimini contro l’umanità commessi in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, periodo antecedente alla nascita dello Stato di Israele, di fronte al quale, tuttavia, fu chiamato a rispondere dei propri delitti. Allo stesso principio si è appellata la magistratura spagnola quando nel 1998 ha richiesto l’arresto e l’estradizione del dittatore cileno Augusto Pinochet, accusato di genocidio, terrorismo internazionale, tortura e sparizione forzata.

Per quanto riguarda l’Italia, l’articolo 7 del Codice penale, relativo ai reati commessi all’estero, si fonda sul principio di difesa e di universalità: il primo si applica ai quattro punti che puniscono crimini contro la personalità dello Stato italiano, il secondo al quinto punto, che prevede la perseguibilità di determinati reati in conformità alle convenzioni internazionali.

Sorge spontaneo domandarsi per quali ragioni la gestazione per altri sia considerata un crimine per cui occorre perseguire penalmente i responsabili anche al di fuori del territorio nazionale.

Le ragioni avanzate a sostegno di tale decisione riguardano la tutela dei diritti umani e sono legate a valori etici e morali. Nello specifico, l’obiettivo del DDL sarebbe la salvaguardia di bambini e donne coinvolti nella GPA, considerata degradante e offensiva, oltre che potenziale causa di sfruttamento per le madri surrogate, le quali potrebbero essere costrette ad avviare gravidanze per ragioni economiche.

In ogni caso, rendere la pratica di GPA “reato universale” risulta per lo più una scelta identitaria dal valore simbolico, che non prescinde da problemi di impostazione giuridica. Il fatto che ci si riferisca a un reato punibile secondo la giurisdizione universale comporta infatti una contraddizione: la GPA non è illegale in tutti i Paesi, ragion per cui, non rispettando il  principio di “doppia incriminazione”, si rivelerebbe complicato perseguire il crimine in uno Stato in cui non è considerato tale. In secondo luogo, la gravità che porta con sé la denominazione “reato universale” è discutibile, per quanto riguarda il delitto in questione, e antinomica rispetto alle pene previste, relativamente lievi, quali una multa da 600 mila a 1 milione di euro o la reclusione fino a un massimo di due anni.

E infine, se da un lato l’obiettivo dichiarato della legge è la tutela dei diritti delle donne coinvolte, al tempo stesso rappresenta una privazione della libertà di scelta per chi si sottoporrebbe a tali procedure volontariamente.

Gaia Romano

Fonte immagine in evidenza: https://www.quotidiano.net/

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Avatar di Paola Stella Paola Stella ha detto:

    🎀 La liberta’ di scelta ha i limiti che intende riconoscere laetspna ~ L’essere umano possode il libero arbitrio ~ Ma va rilevato che la liberta’ dovrebbe essere realizzata in ambito individuale, e non coinvolgere altre vite.
    Buona serata!

    "Mi piace"

Lascia un commento