Una chiacchierata con Cristiana D’Antuono, upcycling fashion designer torinese

Solare e piena di entusiasmo, in occasione della nostra intervista sceglie di indossare una camicia creata da lei. Classe ’98, nata e cresciuta a Torino, Cristiana D’Antuono (anche detta Cri X Upcycling, @cristiana.dantuono su Instagram e Tik Tok) è una delle più promettenti eccellenze del nostro territorio in fatto di moda. Si definisce upcycling fashion designer e i video in cui dà nuova vita agli abiti hanno ormai conquistato i social, da quel TikTok virale in cui realizza una creazione per la fashion content creator Martina Tinarelli. Dopo il diploma conseguito presso l’istituto Zerboni di Torino, frequenta la facoltà di Business & Management alla SAA, percorso per il quale sta attualmente scrivendo una tesi sul suo futuro brand. Nel frattempo, emerge la sua passione per l’upcycling e nel 2021 inizia ad apportare le prime modifiche ai suoi vecchi abiti. Complici la nonna, con la quale ha realizzato una delle sue prime creazioni, una minigonna nata da un jeans, e i suoi genitori, sempre attenti allo stile. Sarà poi nel 2023 che inizierà a condividere video in cui mostra il processo e il risultato finale delle sue trasformazioni, prima su Instagram e poi su TikTok: «Se non lo indosso da un anno, lo posso modificare» – questo uno dei suoi motti. Abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con lei per scoprire di più sul suo lavoro e sulle opportunità che la nostra città può offrire in ambito moda.  

Per chi non lo conoscesse, cos’è l’upcycling e perché può essere utile nel mondo di oggi?

L’upcycling, da definizione, è ridare vita a un capo dismesso o inutilizzato, che può significare semplicemente tagliarlo oppure rielaborarlo. Per me è un modo di esprimermi, costruire qualcosa che mi piace usando materiali già esistenti e quindi evitando di inquinare o di fare consumismo. Secondo me bisognerebbe, nel settore della moda, cercare di incorporare capi inutilizzati nelle nuove collezioni. Immagino nelle catene fast fashion quanti capi sono di scarto, che potrebbero essere riutilizzati. So che il fast fashion rimarrà, perché è troppo radicato, però si può cercare un equilibrio, ad esempio riducendo le collezioni e venendo incontro su alcuni aspetti, cercare un punto d’incontro, utilizzare gli scarti, modificare le collezioni che non hanno funzionato, senza buttarle e creare direttamente qualcosa di nuovo. Però devo dire che, secondo me, un cambiamento sta avvenendo, vedo che alcuni brand cominciano a fare anche delle collezioni upcycling. Anche se ci sono rimasta male quando ho scoperto che Louis Vuitton ha fatto causa a uno stilista coreano (Lee Kyung-han, NdR) per aver modificato una loro borsa creando danni all’immagine del brand. Anziché andare avanti, stiamo tornando indietro, anziché proporre una collaborazione con lo stilista e modificare materiale fermo per rivenderlo, hanno preferito denunciarlo.

Come ti sei appassionata a questa pratica?

Tutto è nato contemporaneamente ad alcuni eventi a cui dovevo partecipare, ad esempio il mio compleanno, una festa o un concerto, in cui volevo qualcosa di mio da poter indossare. I primi capi che ho fatto sono nati perché avevo un’occasione in cui metterli e per quell’occasione volevo un outfit che mi ricordasse quello specifico evento. Questo è stato il motivo principale. Da lì in poi, ne fai uno, ne fai due… ho iniziato a prendere il giro. Poi, il fatto che piacevano sui social mi ha dato una spinta a farne di più, a farne uno a settimana.

Qual è stato il capo migliore che hai creato e quale il peggiore?

Il peggiore è la prima giacca che ho creato. In realtà è piaciuta molto, mi hanno anche chiesto di venderla, all’epoca, ma io ho rifiutato perché non è il mio stile, non c’è molta tecnica, avrei cambiato qualcosa, tornassi indietro. Il concetto mi piace, il risultato finale non molto, potevo fare meglio. Invece per quanto riguarda il migliore c’è il migliore secondo me e il migliore secondo il pubblico. Il migliore secondo me è un corsetto che ho fatto con un tessuto in maglia, per l’idea, perché creare un corsetto non è semplicissimo, ci sono molti passaggi, e il risultato finale mi soddisfa. Un altro che a me piace molto è la camicia con la cravatta dietro. Un capo che invece è piaciuto molto al pubblico è il vestito-camicia, non lo metto come migliore secondo me solo perché non è tanto il mio stile, non metto quasi mai gonne, ne riconosco però la tecnica e la bellezza.

https://www.instagram.com/p/DBYqpf1Aejw

Cos’è la moda per te?

La moda è sentirsi bene con quello che si indossa, a me cambia l’umore. Per esempio, quando andavo a fare gli esami mi dovevo sentire bella, dovevo sentirmi bene con il mio outfit perché mi dava quella confidence in più, mi dà gioia. Moda è quando trovi il tuo stile, quello che ti fa stare bene.

Che rapporto hai con l’università?

Non sono partita benissimo con Unito perché ho fatto il test d’ingresso per la SAA, ma ho confuso la data dei pagamenti e sono stata esclusa dal corso, da che ero tra i primi, sono passata per ultima. Quindi mi sono iscritta a un altro corso per passarmi gli esami in comune e poi dopo qualche mese mi hanno ammessa, ho convalidato gli esami e sono tornata al primo corso che avevo scelto. Non ero partita benissimo; per il resto, secondo me la SAA è un mondo un po’ a parte di Unito. Poi io ho frequentato per un periodo e poi ho continuato in smart per via del Covid, quindi è stato un rapporto un po’ a distanza.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Come ti vedi in un prossimo ambito lavorativo?

Mi piacerebbe aprire un negozio. Dovessi aprirlo, probabilmente sarebbe prima solo online e magari aprirei dei pop up store di qualche giorno o farei dei workshop. Per un negozio fisico, ci vorrebbero un po’ più di tempo e più soldi da investire nel progetto, però sicuramente una linea ufficiale mia è qualcosa che mi piacerebbe avere. In parallelo ai capi della collezione, mi piacerebbe continuare a pubblicare contenuti sui capi singoli che modifico, continuare a condividere e a dare un’idea a chi mi segue sui social, anche se quello specifico capo magari non è vendibile perché non trovo abbastanza materiale per riprodurlo. Mi piacerebbe anche collaborare con qualche brand per fargli fare un passo in più verso la sostenibilità e collaborare con qualche influencer, perché è un mondo che mi piace.

Credi che possa esserci futuro a Torino per le e i giovani come te che sognano di lavorare nella moda?

Secondo me sì. Torino ha già molte aziende abbastanza importanti, a livello di produzione, nell’area di Settimo, quindi un punto di partenza ci può essere. Poi, Nicole Cavallo ha aperto il suo atelier a Torino e noto che ci sono delle realtà in Piemonte, ad esempio ad Asti (in cui c’è un’accademia di moda) o a Biella (polo molto importante di tessuti), delle sedi in cui si può sviluppare qualcosa di concreto. Molti mi dicono che dovrei trasferirmi a Milano per lavorare nella moda, ma io adoro Torino, sarà che ci sono nata e sono di parte, ma a me piace. Dovessi rimanere in Italia, resterei a Torino. Poi, la fashion week sarà sempre a Milano, quindi per gli eventi andrei lì, ma non per forza tutta la tua vita, lavorando nel mondo della moda, deve essere a Milano. Poi Torino ha il suo fascino, magari non ci sono persone super alla moda che vedresti a Milano, Londra o New York, però comunque non è una città che “si veste male”, siamo abbastanza attenti all’abbigliamento e un po’ signorili. Secondo me si può fare, io sponsorizzo sempre Torino con le altre persone, poi ho già immaginato il mio negozio in via Garibaldi.

Grazie mille per questa intervista.

Figurati, grazie a te!

Fonte foto di copertina: Instagram @cristiana.dantuono

Alessandra Picciariello

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