Il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre (a partire dalle registrazioni nel 1850), l’anno in cui si è superata la soglia di 1.5°C stabilita dagli Accordi di Parigi del 2015. Come sappiamo, il riscaldamento globale è dovuto all’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, con il conseguente aumento dell’effetto serra, ma forse non molti ricordano che la produzione di cibo è responsabile per circa un quarto di queste emissioni. Ai primi posti tra i cibi più impattanti si posiziona la carne bovina, ma molti rimarranno forse sorpresi dal quinto e sesto classificato: cioccolato e caffè. Oltre a essere al centro di filiere molto impattanti, il cacao, alla base della produzione del cioccolato, il caffè e il vino sono gli alimenti più minacciati dalla crisi climatica. Ma vediamoli nel dettaglio.

Il cacao
L’anno scorso, nel periodo di Pasqua, il prezzo del cacao è aumentato notevolmente a causa di problemi ambientali e strutturali, raggiungendo il massimo storico di 11.722 dollari a tonnellata (che a dicembre sono diventati 12mila). Oltre il 70% della produzione mondiale proviene dall’Africa Occidentale, in particolare da Ghana e Costa d’Avorio, e nell’annata 2023-2024 i raccolti sono crollati di un terzo a causa di eventi metereologici estremi: una prolungata siccità, a cui sono seguite piogge anomale e malattie fungine.
Come spiegato in questo episodio del podcast Globo, la filiera del cacao è inoltre lunga, complicata e poco trasparente. Alla base ci sono centinaia di migliaia di piccoli coltivatori con piccoli appezzamenti, che vendono le fave di cacao a degli intermediari, a dei prezzi che vengono definiti centralmente – il cacao è infatti una commodity, materia prima il cui prezzo è definito in blocco, come il petrolio. Per il terzo anno di fila c’è stato un grande deficit nell’offerta, mentre la domanda continua a crescere ed è addirittura raddoppiata negli ultimi trent’anni. Da diversi decenni il settore necessiterebbe di investimenti ed è pressoché privo di meccanizzazione: la raccolta delle fave richiede infatti che vengano maneggiate con cura, quindi serve una forza lavoro intensa.
Inoltre, negli ultimi decenni in Ghana e Costa d’Avorio per far spazio alle piantagioni di cacao si è perso circa un terzo delle superfici boschive, ma entro la fine del 2025 entrerà in vigore una nuova legge europea contro la deforestazione, che metterà alle strette i piccoli coltivatori imponendo obblighi di tracciabilità. Il settore è poi tristemente noto, oltre che per la deforestazione e la perdita di biodiversità, per lo sfruttamento del lavoro minorile (come rivelato nel documentario The dark side of chocolate). Alla luce di tutti questi problemi, alcune aziende dolciarie stanno sempre più investendo nella ricerca di alternative al cacao, partendo non più dalle fave ma dalla carruba o dai semi dell’uva.
Il vino
L’Italia è il secondo produttore al mondo di vino dopo la Francia, ma a livello globale la produzione di vino ha toccato i livelli più bassi dal 1961. Il cambiamento climatico sta mettendo a dura prova il settore: molti produttori si stanno infatti spostando più a Nord e ad alta quota per sfuggire alle ondate di calore, mentre chi decide di rimanere anticipa sempre di più il periodo della vendemmia. Il caldo può inoltre alterare il gusto del vino: più l’uva matura, più si accumula zucchero, aumentando la fermentazione alcolica e così il grado alcolico del vino. La pianta di vite di per sé non richiede molta acqua, se non per sviluppare le radici nei primi due anni di vita, ma su di un terreno molto secco l’acqua non penetra nel terreno e scivola via.
Le sfide climatiche richiedono quindi investimenti e innovazione: tra le strategie più adottate, spiegate in questo video di Will Media, figurano l’adozione di reti per aumentare l’ombra, l’inerbimento attorno alle viti, l’aumento di alberi e cespugli attorno ai filari – che rappresentano vere e proprie barriere per bloccare l’ingresso di patogeni e costituiscono delle case per gli uccelli, che si nutrono di quegli insetti dannosi per le piante. Insomma, tra le strategie vincenti ci sono sicuramente una diversificazione delle colture per ricreare un ambiente complesso e una migliore gestione dei canali d’acqua.
Il caffè
L’anno scorso gli eventi climatici estremi hanno colpito anche i principali paesi produttori di caffè: il Brasile, che detiene il 40% della produzione mondiale, soprattutto nel mercato dell’Arabica, ed è stato colpito da un’ondata di siccità, e il Vietnam, che produce principalmente il chicco di Robusta per il caffè istantaneo, colpito dai tifoni. Alcune stime prevedono che entro il 2050 si dimezzeranno le aree adibite alla coltivazione di caffè, a causa dell’aumento della deforestazione, della diffusione di parassiti, dell’innalzamento delle temperature e delle alluvioni sempre più frequenti. La filiera ricorda quella del cacao, con milioni di piccoli produttori a cui arriva una minima parte dei ricavi e prezzi record nell’ultimo periodo.
Il caffè è tra le bevande più consumate al mondo e smettere di berlo non è una prospettiva sostenibile per molti consumatori, anche se insostenibile per l’ambiente: alcuni centri di ricerca stanno quindi provando a sintetizzarlo in laboratorio, come la VTT in Finlandia, che ha fatto ricorso a tecniche dell’ingegneria e della biologia molecolare, partendo da colture cellulari a base vegetale poi fatte fermentare e crescere fino ad ottenere un risultato molto simile all’originale nel gusto. Non mancano poi alternative come quelle a base d’orzo o di cicoria.
Insomma, il cambiamento climatico arriva a cambiare le carte in tavola, letteralmente. Quelle analizzate sono solo tre filiere particolarmente vulnerabili di fronte a eventi climatici sempre più estremi, nei quali la ricerca sta cercando alternative che non dipendano direttamente dalla natura, che da sempre, malgrado molte convinzioni, sfugge al controllo dell’uomo.
Anna Gribaudo
