“Non si può più dire niente”: il significato oltre le parole

Il linguaggio è l’unico mezzo di comunicazione di cui disponiamo ed è anche ciò che ci distingue dagli animali. Possiamo parlare con gli occhi, con il corpo, possiamo parlare senza dire una parola, ma il linguaggio è esplicito, chiaro o ingannevole, rassicurante o angosciante: attraverso esso ognuno di noi può esprimere l’emozione che prova. È così unico, che pure Dio ha usato la parola per creare il mondo.
Per questo motivo bisogna fare attenzione a come lo si usa, con chi lo si usa, perché lo si usa.
Molto spesso le frasi che diciamo, gli intercalari e i modi di dire riflettono la propria persona e, talvolta, anche la società stessa.

Ecco alcuni proverbi ed estratti dal parlato che rispecchiano la nostra società, non molto attenta ai particolari:

Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna

Pronunciato durante le premiazioni di uomini per ringraziare la moglie, usato per descrivere la storia della scienza. Basti pensare a Rosalind Franklin e alla sua scoperta sulla struttura del DNA “rubata” da Watson e Crick, è il detto popolare che più di tutti restituisce l’immagine della società in cui viviamo.

Perché una grande donna deve essere dietro a un grande uomo? Perché, nel momento in cui viene pronunciato, appare come un grande riconoscimento? Le risposte a queste domande aprono vasi di Pandora che potrebbero essere racchiusi in una sola parola: patriarcato.

Dire dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna non deve sembrare un ringraziamento, ma un’offesa: il fatto stesso che la donna venga posta dietro all’uomo, seppur definita grande, la rende inferiore e le attribuisce un posto secondario, come se fosse l’unico in cui è giusto che rimanga.

Essere una donna con le palle

Una donna con le palle è colei che ricopre cariche alte, posti di lavoro prestigiosi o che è “semplicemente” coraggiosa: e allora perché non usare parole come audace, forte, intraprendente? La società e le persone che la compongono insegnano che questi aggettivi sono giusti solo se posti vicino a un nome maschile.
Ad alcune persone potrebbe sembrare una manifestazione di stima, ma ha un significato implicito e intrinseco: chi la pronuncia pensa che solo un uomo possa davvero ricoprire posizioni alte nella società. Usare queste parole è come sottolineare che la donna, per essere lì, debba avere per forza qualcosa di propriamente maschile; altrimenti, sicuramente, si troverebbe a un gradino inferiore.

L’articolo determinativo davanti ai cognomi di donna

Quante volte sentiamo aggiungere nel parlato la o l’ davanti a cognomi di donne influenti? Tantissime. Per fortuna oggi i giornali si sono aggiornati, ma fino a pochi anni fa era possibile trovare questi articoli anche nei titoli.

Michela Murgia parla apertamente di questo argomento e di tanti altri connessi al mondo del femminismo nel suo libro Stai zitta – e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, che necessita di essere letto da tutti, uomini e donne, almeno una volta nella vita.
Scrive così: “Applicare a un cognome di donna l’articolo determinativo significa comportarsi con un nome di persona come ci si comporterebbe con un nome di cosa o con un’entità spersonalizzata, una specie di fenomeno paranormale che fa categoria a sé”.

Continua con: “Mi si ribatte che non è denigrazione, perché è usanza dialettale del Nord […]. Se fosse vero, l’uso dell’articolo davanti al nome non sarebbe una prerogativa delle donne. Invece nessuno ha mai commentato cosa ha detto il Berlusconi, il Salvini […]”. (Michela Murgia, Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, Einaudi, 2021)

Chi fa la spia non è figlio di Maria

Lo abbiamo sentito dire in classe, soprattutto da piccoli, quando la maestra chiedeva a che pagina fossero i compiti e qualcuno rispondeva, quando veniva fatto uno sgambetto e usciva il colpevole: cosa succede se, pronunciato tante volte, entra nel modo di fare del bambino?
Accade che l’omertà sia il primo comportamento assunto di fronte a situazioni pericolose per altre persone: il silenzio diventa l’arma migliore per sconfiggere la propria paura e non agire permette di proteggersi, senza aiutare chi ha bisogno.

Questo modo di dire va a braccetto con “non vedo, non sento, non parlo”, più incisivo e associato oggi anche a un contesto mafioso. Chi vede troppo e chi sente troppo non deve parlare: questa è una delle “leggi” che sta alla base della mafia e grazie alla quale essa continua a esistere.
Chi è indifferente di fronte a un torto o, nei casi più gravi, a un reato, ha commesso parte di esso stesso e si deve sentire, seppur in maniera minoritaria, colpevole e complice.

Inoltre, anche “chi si fa i fatti suoi vive cent’anni” si può aggiungere alla lista di questi modi di dire non moralmente adeguati, sempre per gli stessi motivi.
Nel momento in cui si ha a che fare con circostanze complesse e ingiuste, bisogna ricordarsi che basta poco per passare dalla parte del colpevole, anche solo rimanendo in silenzio.

Ma quindi non si può più dire niente

Leggendo questo articolo, qualcuno potrebbe pensare “non si può più dire niente”, ma, riflettendoci su, bisogna arrivare alla consapevolezza che le parole sono il mezzo attraverso cui ci esponiamo, ci presentiamo, sono il mezzo attraverso cui l’altro ci conosce.
Qualcun altro potrebbe pensare che ci sono battaglie più grandi da combattere, ma se non si inizia dalle cose apparentemente piccole, allora, non si arriverà mai al grande obiettivo finale.
Il modo in cui nominiamo e parliamo di una determinata cosa rispecchia il modo in cui la viviamo: usiamo le parole giuste ed evitiamone altre per poter dire, questo sì, di aver fatto un passo avanti.

Linda Milano

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