Torino è una città che raramente si svela al primo sguardo. Dietro alle facciate austere e ai portici regolari, conserva storie invisibili, vite oblique, passioni nascoste. Per conoscere Torino e i suoi abitanti bisogna varcare la soglia delle loro case, in modo da scoprire personalità affascinanti e rivoluzionarie. In tal senso, un personaggio d’eccezione è sicuramente Carol Rama, artista torinese nata nel 1918 e scomparsa nel 2015 nella sua casa di via Giovanni Napione, dove aveva vissuto per quasi tutta la vita. Oggi, a dieci anni dalla morte, la sua figura ritorna, più viva che mai, come emblema di un’arte libera, dissidente, profondamente personale e radicalmente femminile.

Carol Rama fu una donna e un’artista per niente facile da classificare. Né surrealista, né astrattista, né “moderna”, Carol fu semplicemente sé stessa, con un linguaggio visivo nato dal corpo, dalla psiche e dalla memoria, ma capace di dialogare con le avanguardie internazionali più innovative. La sua opera fu a lungo ignorata in Italia, forse proprio perché troppo audace per i tempi.
Il suo avvicinamento all’arte avvenne grazie alla pittrice Gemma Vercelli, il cui studio si trovava in via Digione, la stessa via in cui era situata l’officina di carrozzeria del padre di Carol. L’attività commerciale paterna garantì alla famiglia un’ottima stabilità economica fino agli anni Trenta, quando, a seguito della crisi finanziaria, fallì.
Le ripercussioni dell’evento segnarono profondamente la giovane: la madre, infatti, fu ricoverata in una clinica psichiatrica, mentre il padre si suicidò. Insieme agli oggetti da cui era circondata quotidianamente, i traumi familiari divennero i soggetti dei primi lavori degli anni Trenta e Quaranta, dove corpi femminili, protesi mediche, lingue e organi sessuali si intrecciano in una poetica disturbante e profondamente intima. Lavori che furono censurati, ignorati o considerati “scandalosi” per decenni.
Quella che oggi è la sua casa-museo è in realtà la casa in cui la pittrice visse a partire dagli anni Quaranta. L’appartamento di via Napione 15, situato nel quartiere Vanchiglia, è stato testimone dell’evoluzione artistica della donna e costituisce una fonte preziosa per la comprensione della sua personalità. Situato all’ultimo piano del condominio, si presenta come un luogo quasi mitico, ricco di oggetti, opere, lettere e reliquie. I numerosi cimeli sono narratori silenti della vita privata dell’artista, delle sue conoscenze e amicizie. Nel tempo il giaciglio sicuro di Carol si è evoluto in una vera e propria opera d’arte che grida alla sua storia.

Donna animata da una vivace curiosità intellettuale, Carol partecipava con costanza alla vita culturale torinese, seguendo con grande interesse mostre ed eventi. Nella sua quotidianità accoglieva e incontrava regolarmente figure di spicco della scena culturale cittadina, per lo più intellettuali provenienti da ambiti diversi. Fu a lungo legata, per esempio, allo scrittore Edoardo Sanguineti, era amica e compagna di dialogo del pittore Felice Casorati, ma era anche vicina a figure di spicco come Man Ray, Andy Warhol, León Ferrari, Gillo Dorfles, Italo Calvino e Pablo Picasso. Conobbe e frequentò l’architetto Carlo Mollino, con cui condivideva una passione per l’eros e l’occulto.
Con l’aumento dei contatti e delle mostre, il linguaggio dell’artista si evolvette. Tra gli anni Sessanta e Settanta, in particolare, Rama iniziò a incorporare nelle sue opere materiali non convenzionali, quali camere d’aria, denti finti, peli, vetro, cuoio. Una scelta radicale, sensuale, quasi tattile. La materia divenne così parte viva dell’opera, senza però privare l’oggetto artistico del controllo intellettuale della sua artefice, che riuscì a costruire una grammatica tutta sua, capace di esprimere malattia, desiderio, solitudine, gioia e anche violenza, con uno stile a un tempo carnale e poetico.
Vero e proprio snodo tra l’Italia e il mondo, Carol fu al centro di una rete internazionale e venne apprezzata più all’estero che non in patria. Non è un caso se il vero riconoscimento arrivò tardivamente, con la Biennale di Venezia del 2003, quando vinse il Leone d’Oro alla carriera a 85 anni compiuti. Di lì in avanti, varie mostre a New York, Parigi, Barcellona e Londra hanno definitivamente sancito il suo valore nel panorama artistico mondiale.
Ciò che rende Carol Rama un personaggio unico, tuttavia, è la forza con cui ha sempre rivendicato la libertà per sé stessa e la sua arte. Donna in un mondo dominato dagli uomini, artista autodidatta in un’Italia che esigeva appartenenze, provocatoria senza mai cercare lo scandalo, Carol non era interessata alla trasgressione fine a sé stessa, ma al linguaggio dell’anima, al trauma, alla libertà individuale. In diverse interviste l’artista parlò dell’arte come terapia, come una cura a cui appellarsi nelle situazioni di malessere.
Rama non si sposò mai, non ebbe figli e non prese mai direttamente parte ad alcun movimento femminista, ma è diventata comunque un’icona del femminile indomito, della resistenza artistica, della possibilità di esistere fuori dalle regole.
La storia di Carol Rama è una delle tante che si nascondono nel cuore di Torino, tra le case silenziose e i cortili appartati. Oggi varcare la soglia dell’abitazione di via Napione significa entrare in un mondo ribelle, intimo e visionario. Un’eredità che, a dieci anni dalla sua scomparsa, continua a parlarci con forza, ricordandoci che dietro ogni facciata torinese può celarsi una voce capace di scuotere il presente.
Chiara D’Amico
