Il 22 settembre, giornata di tensioni e mobilitazioni civili, l’Italia ha vissuto uno sciopero generale di 24 ore indetto da diversi sindacati di base (USB, CUB, SGB e ADL) insieme ad altri movimenti sociali, per esprimere solidarietà alla popolazione palestinese e denunciare la complicità politica, economica e militare del governo italiano nei confronti di Israele. L’iniziativa ha coinvolto trasporti, scuole, servizi pubblici e porti, dando luogo a manifestazioni in numerose città, tra cui Torino. Lo sciopero ha rappresentato un segnale forte contro l’inerzia delle istituzioni italiane ed europee di fronte al genocidio in corso in Palestina.
A Torino la partecipazione è stata particolarmente significativa. Fin dalle prime ore del mattino sono stati organizzati presìdi e blocchi simbolici in diversi punti strategici della città, culminati nel grande corteo partito da Porta Nuova. Migliaia di persone – studentǝ, lavoratorǝ, associazioni e collettivi politici – hanno sfilato con bandiere palestinesi e striscioni contro la complicità del governo, animando le piazze con cori e interventi al megafono.
La protesta ha assunto un carattere fortemente intergenerazionale. Moltǝ studentǝ hanno scelto di astenersi dalle lezioni, con occupazioni di alcuni istituti scolastici e universitari; mentre gruppi di lavoratorǝ della logistica e dei trasporti hanno presidiato depositi e stazioni ferroviarie.
Alle 7 del mattino un gruppo di studentǝ ha bloccato gli ingressi del Campus Luigi Einaudi per impedire lo svolgimento delle lezioni. Più tardi, intorno alle 9:30, lǝ stessǝ studentǝ si sono mossǝ in corteo per confluire nella manifestazione principale di Porta Nuova, dove si sono uniti anche diversǝ docenti, tra cui le professoresse di economia Silvia Pasqua e Lia Pacelli dell’Università di Torino. È proprio all’inizio del corteo che le due accademiche sono state intervistate.
Cosa l’ha spinta a prendere una posizione oggi?
Pasqua: «Secondo me la domanda è mal posta: bisognerebbe chiedere a chi non è qui perché non si mobilita. Di fronte a un genocidio, a una pulizia etnica con centinaia di migliaia di morti, come si può restare indifferenti?»
Pensa che essere docente universitaria abbia una responsabilità politica e sociale?
Pacelli: «Assolutamente sì, chi insegna, come tutti gli educatori e le figure intellettuali, ha il dovere di essere in prima linea su questi temi: diffondere informazioni corrette, fornire strumenti per una discussione critica e non aprioristica».
Pensa di diffondere consapevolezza allǝ studentǝ? Se sì, in che modo?
Pacelli: «Una cosa che è possibile fare a lezione è legare i temi trattati all’attualità. L’università non deve essere un edificio con mura impermeabili: è fondamentale e necessario unire ciò di cui si discute a ciò che accade nel mondo, per aumentare il senso civico e rivitalizzare gli argomenti scolastici».
Cosa pensa del boicottaggio universitario? Può essere un’azione utile interrompere i rapporti tra il sistema universitario italiano e quello israeliano?
Pacelli: «Se parliamo di rapporti tra istituzioni, io penso che il boicottaggio in tutte le sue forme sia uno strumento estremo, ma allo stesso tempo necessario in situazioni come questa. Credo anche che la comunità universitaria debba arrivare a decisioni del genere con una discussione condivisa: deve essere una presa di coscienza collettiva».
In che modo lo sciopero può vincere?
Pasqua: «Lo sciopero generale vincerebbe se il nostro governo interrompesse i rapporti con Israele, come le collaborazioni universitarie dual use, i cui risultati vengono utilizzati anche per fini militari. Noi non possiamo bloccare il genocidio, ma possiamo spingere il governo e l’Europa ad agire, cosa che non hanno fatto negli ultimi due anni».
C’è una relazione tra il genocidio palestinese e l’economia globale?
Pacelli: «Il rapporto Albanese ha elencato tutte le imprese che commerciano, in armi e non solo, con Israele: basta osservare quanto valore stanno guadagnando, per esempio nelle borse. Anche la riurbanizzazione dei territori conquistati è un business enorme».
Pasqua: «Trump ha definito Gaza “una miniera d’oro”: una terra completamente rasa al suolo, in cui tutto è da ricostruire. Lo stesso è successo dopo la Seconda guerra mondiale, che è stata seguita da un boom economico. Oggi siamo di fronte a un’economia di guerra che traina Israele e l’industria bellica».
Lǝ studentǝ hanno più o meno coscienza politica rispetto al passato?
Pasqua: «C’è una spaccatura. Molti ragazzi hanno una grande consapevolezza, sanno, studiano, dialogano con colleghi in tutto il mondo e persino con gli oppositori israeliani (che tra l’altro sostengono le proteste e vengono isolati e politicamente perseguitati dal governo). Altri appaiono disinteressati. Certo, quando si vede una foto di un bambino che muore di fame, umanamente tutti siamo portati a commuoverci; ma è ben diverso dal compiere un’analisi politica delle cause e degli effetti – come il boicottaggio, l’interruzione dei rapporti commerciali con Israele e molto altro – poiché è un passo che prevede un certo livello di riflessione, che forse molti non posseggono. Questo movimento è importante nella crescita personale di tutti i ragazzi e le ragazze presenti qui oggi: chi partecipa acquisisce strumenti critici per leggere il mondo che si porterà dietro tutta la vita […]. Da docente sono al loro fianco: ho sempre sostenuto le iniziative che hanno portato avanti e credo nell’importanza di sviluppare questa consapevolezza, sia in relazione alle politiche attuali del nostro Paese, sia per le molteplici situazioni che riflettono la deriva fascista a cui stiamo assistendo».
La partecipazione delle docenti Pasqua e Pacelli alla giornata di mobilitazione non rappresenta solo un gesto di solidarietà verso la popolazione palestinese, ma anche un segnale forte sul ruolo che il mondo accademico può e deve assumere di fronte alle ingiustizie globali. Le loro parole sottolineano come l’università non possa rimanere neutrale né chiusa nelle proprie aule, piuttosto di come debba farsi luogo di coscienza critica e di costruzione collettiva del sapere. Lo sciopero del 22 settembre, con la sua portata intergenerazionale e la presenza di studentǝ e lavoratorǝ fianco a fianco, ha dimostrato che la mobilitazione è capace di creare connessioni e di aprire spazi di riflessione e di resistenza.
Si ringraziano le docenti Silvia Pasqua e Lia Pacelli per il tempo e la disponibilità dimostrati nell’intervista.
Giulio De Meo

