Secondo le ultime notizie dalla Spagna, il presidente Pedro Sánchez vorrebbe rafforzare il diritto all’aborto nel Paese, già garantito da una sentenza del Tribunale Costituzionale, attraverso una proposta di riforma della Costituzione. Diventerebbe così il secondo Stato a introdurre il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, dopo la Francia nel 2024.
Decisioni d’impatto, soprattutto se consideriamo come, nel 2022, il rovesciamento di Roe v. Wade negli USA abbia risollevato numerosi sentimenti pro-vita, influenzando anche l’Europa.
La situazione in Europa
A oggi, in UE, Paesi come Malta e Polonia hanno ancora politiche estremamente rigide e proibitive in materia di aborto e sono soltanto 5 su 27 gli Stati che lo hanno completamente depenalizzato. In molti casi, avere accesso alle cure mediche necessarie è un processo ancora lungo e complesso. Senza contare che soltanto in due Paesi (Svezia e Francia) le autorità intervengono attivamente sulla disinformazione fatta sul tema. Secondo quanto afferma l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, la cui posizione sul tema è estremamente chiara, ancora il 45% degli aborti globali, oggi, non sono sicuri.
“Comprehensive abortion care is included in the list of essential health care services published by WHO in 2020. Abortion is a simple health care intervention that can be safely and effectively managed by a wide range of health workers using medication or a surgical procedure.”
_World Health Organization
(“La completa assistenza all’aborto è inclusa all’interno della lista dei servizi essenziali di assistenza sanitaria pubblicata dalla World Health Organization nel 2020. L’aborto è un semplice intervento medico che può essere praticato in maniera sicura ed efficace dalla maggior parte del personale sanitario attraverso l’utilizzo di farmaci o interventi chirurgici”)
E in Italia?
Nel nostro Paese, l’IVG è stata legalizzata dal 1978 con la legge 194. La gravidanza può essere interrotta entro i primi 90 giorni di gestazione (che corrispondono a circa 12 settimane e 6 giorni) per questioni di salute, economici, familiari e sociali. Oltre questa soglia temporale è consentito esclusivamente l’aborto terapeutico.
Ma come funziona il processo? Il primo passo consiste nel recarsi in un consultorio, dal proprio medico di base, o in una struttura ospedaliera. Qui, a seguito della visita, viene rilasciato un certificato medico, che attesterà lo stato di gravidanza e la richiesta di IVG. Secondo quanto stabilito dalla legge italiana, deve poi passare un periodo di sette giorni, il cosiddetto “periodo di riflessione”, prima di poter procedere ulteriormente (fatta eccezione per casi urgenti e/o gravi). Una volta ottenuto il certificato si prenota un appuntamento presso una struttura autorizzata. In base alla settimana di gestazione raggiunta, il medico deciderà quale sia l’opzione più adeguata a terminare la gravidanza (tra farmacologica o chirurgica).
Medici obiettori e regioni “scoperte”
La problematica più consistente rilevata presso il nostro Servizio Sanitario Nazionale è sicuramente quella dei ginecologi e medici obiettori di coscienza. Il diritto all’obiezione di coscienza è nato in Italia nel 1972, con l’opportunità di non prestare servizio militare, svolgendo invece un servizio civile sostitutivo. Con la modifica del 1998, questo diritto non è più legato esclusivamente a quell’ambito, andando a coinvolgere anche quello sociosanitario. I medici possono quindi invocarlo per non eseguire pratiche che vadano contro la propria etica, morale o religione, secondo i limiti previsti dalla legge.
Nella “Relazione del Ministro della Salute per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione di gravidanza”, sulla base dei dati dell’anno 2022, risulta che le strutture ospedaliere, o simili, dotate di reparto di ginecologia e/o ostetricia che effettuano interruzione volontaria di gravidanza sono circa il 61% del totale. La problematica più rilevante riguarda il grande divario tra le regioni: 86,7% in Piemonte, 92,9% nelle Marche e 83,3% in Basilicata contro un 28% in Campania, 33,3% in Molise e 54,2% in Emilia-Romagna.
In totale, nel 2022, il 60,5% dei ginecologi in Italia è obiettore di coscienza. Percentuale minore rispetto agli anni precedenti, ma comunque preoccupante.

E per la pillola del giorno dopo?
In questo caso lo scenario non è troppo diverso. Si sono registrati casi nei quali farmacisti hanno rifiutato di fornire la pillola del giorno dopo perché “contro la propria coscienza”, nonostante sia risaputo che questa sia una contraccezione d’emergenza e non un farmaco abortivo. Come ci ricorda il caso in provincia di Gorizia della farmacista, oggi assolta per “tenuità del fatto” (Wired.it), che nel 2015 si rifiutò di consegnare il contraccettivo a una donna munita di ricetta. Ricetta che, peraltro, oggi non è nemmeno più necessaria per le maggiorenni né per la pillola del giorno dopo, come Norlevo e simili, né per quella dei cinque giorni dopo. Anche per le minorenni, dal 2020, per la pillola dei cinque giorni non c’è bisogno di ricetta medica, che è, invece, ancora necessaria per Norlevo (Agenzia Italiana del Farmaco).
Tiriamo le somme
Sulla base dei dati e delle informazioni a nostra disposizione, possiamo comprendere come, spesso, accedere all’IVG in Italia possa rivelarsi un processo tutt’altro che semplice, in alcune zone molto più che in altre. Lì dove la percentuale di medici obiettori è maggiore le poche strutture che la praticano hanno liste d’attesa estremamente lunghe. Per questo motivo, non è così raro sentire testimonianze di donne che, per accedere all’aborto, sono costrette a spostarsi in altre regioni.
Per concludere, potremmo dire che un passo importante come quello della Francia e della Spagna è ancora un sogno lontano per il Bel Paese. Soprattutto se ricordiamo l’emendamento dell’anno scorso, proposto da Lorenzo Malagola e approvato dal Parlamento, che ha riformulato l’articolo 2 della 194 in modo tale che non siano più i consultori (e quindi personale medico specializzato) a decidere se e come avvalersi di volontari del Terzo settore, dando questo compito invece alle regioni. Una riformulazione che potrebbe sembrare innocua, ma può facilmente spianare la strada per situazioni simili a quella del “protocollo di Forlì”, permettendo l’accesso ad associazioni pro-vita.
La strada per l’ingresso del diritto all’aborto nella nostra Costituzione sembra essere parecchio lunga.
Alice Musto
Fonti
Ansa.it
Spagna, diritto all’aborto in Costituzione: Sanchez lancia la proposta
AmnestyInternetional
Le leggi sull’aborto negli Stati Uniti d’America. Dieci cose da sapere
WorldHealthOrganization
https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/abortion
EuroNews
Il diritto all’aborto negli Stati dell’Unione europea: depenalizzato in soli cinque Paesi
Ministero della Salute
Relazione del Ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78) – DATI 2022
Normattiva.it
LEGGE 22 maggio 1978, n. 194, art. 9
IlFattoQuotidiano
Aborto a ostacoli nelle Marche: la denuncia di una coppia rimbalzata dalle strutture per 20 giorni e costretta a cambiare Regione
Ansa.it
Aborto: in Molise solo una struttura, 23 donne su 100 ‘emigrano’
Aifa.gov.it
AIFA abolisce anche per le minorenni l’obbligo di ricetta per la contraccezione di emergenza fino a cinque giorni dopo.
Quotidianosanità.it
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