In che modo la lingua (o le lingue) che utilizziamo e ascoltiamo ogni giorno plasmano il nostro modo di pensare, di sentire e di percepire? In che modo i nostri linguaggi interiori elaborano gli stimoli esterni e danno parola a quelli interni?
La questione del linguaggio è una questione complessa e diversificata: la complessità aumenta quando si inizia ad analizzare la coesistenza di più lingue e il loro rapporto reciproco nell’individuo e nella società.
Viviamo in una società a maggioranza bilingue: il bilinguismo si declina in diversi modi, a diverse scale e a diversi livelli in ogni comunità e individuo. Ma cos’è il bilinguismo, precisamente?
Riprendendo la definizione generale fornita dalla Treccani, con bilinguismo ‘si intende genericamente la presenza di più di una lingua presso un singolo o una comunità. Il bilinguismo in senso lato costituisce la condizione più diffusa a livello sia individuale sia di società: la vera eccezione sarebbe piuttosto il monolinguismo.’
Inizialmente la definizione di bilinguismo era molto ristretta e lo riduceva a una sorta di equilinguismo, ovvero di conoscenza uguale e perfetta di due lingue diverse: col tempo la definizione si è ampliata comprendendo tra le persone bilingue anche coloro che usano una lingua diversa dalla propria lingua madre, indipendentemente dal grado di competenza e delle frequenza e ambito d’uso di tale lingua.
Il bilinguismo è un campo ancora oggi non del tutto conosciuto: infatti sono numerosi gli studi condotti su diversi aspetti del bilinguismo, in particolare sul bilinguismo sociale, sul funzionamento del cervello di una persona bilingue, sui gradi di fluenza e sulla compartimentalizzazione degli usi e delle funzioni tra le due (o più nel caso dei poliglotti) lingue di cui si dispone. Il bilinguismo è oggetto di interesse anche nell’ambito educativo: numerosi sono gli studi che tentano di comprendere il modo in cui il bilinguismo possa favorire una maggiore flessibilità nell’apprendimento nei bambini.
Un territorio ancora meno esplorato è il legame tra il bilinguismo e le emozioni: il modo in cui il possedere la padronanza di due lingue possa influire sull’elaborazione e l’espressione di emozioni, sentimenti ed esperienze.
Gli studi sul modo in cui la conoscenza di lingue diverse possa influenzare la nostra percezione e visione del mondo sono numerosi: per esempio questo studio in cui sono stati analizzati soggetti bilingue e monolingue tedeschi e inglesi allo scopo di verificare se il loro differente pattern linguistico potesse determinare una diversa reazione alle condizioni sperimentali. Ma non sono molte al momento le ricerche che esplorano le dinamiche del bilinguismo in rapporto alla sfera emotiva individuale.
Su questo legame dalle prospettive affascinanti è stato recentemente condotto uno studio da un gruppo di ricercatori dell’università polacca ‘Adam Mickiewicz’ che può dirci qualcosa in più su come lingua e vita emotiva individuale si intreccino e si influenzino vicendevolmente nel modo in cui diamo forma linguistica a quel che proviamo.
Il titolo del paper è Native and non-native language contexts differently modulate mood-driven electrodermal activity: viene riportato un esperimento condotto su 47 donne polacche, che dimostrerebbe come ‘le persone bilingue potrebbero essere fisiologicamente meno sensibili ai cambiamenti di umore nella loro seconda lingua (L2) rispetto alla loro lingua nativa (L1).
Le donne che hanno preso parte all’esperimento, di lingua madre polacca e che avevano come seconda lingua l’inglese, hanno preso visione di alcuni filmati dall’alto contenuto emotivo il cui obiettivo era sollecitare emozioni positive e negative: mentre guardavano questi filmati la loro attività elettrodermica veniva misurata. È stata osservata una maggiore quantità di risposte di conduttanza cutanea agli stimoli negativi rispetto a quelli positivi nel contesto della lingua madre. La situazione osservata nella seconda lingua è diversa: la sensibilità emotiva è minore rispetto alla lingua madre e questo cambiamento viene spiegato con il maggiore sforzo cognitivo necessario nell’impiego, comprensione e generale gestione della seconda lingua, che corrisponde alla lingua meno dominante nell’individuo.
La conclusione è che i parlanti bilingue tendono ad avere una sensibilità emotiva ridotta in risposta alla loro seconda lingua rispetto alla lingua madre, in particolare in risposta alle parole con valenza negative espresse nella seconda lingua.
I risultati di questa ricerca vengono utilizzati all’interno del paper per tracciare un legame con la psicologia: i ricercatori che hanno condotto l’esperimento intuiscono la potenziale utilità di questa scoperta in campo terapeutico, suggerendo la possibilità di fare psicoterapia nella seconda lingua del paziente (interamente o facendo code-switching, ovvero alternando tra i due codici linguistici).
Le implicazioni pratiche di questa proposta sono significative: l’utilizzo alternato delle due lingue o l’utilizzo principale della seconda lingua in sede di terapia può risultare molto utile al paziente per trattare temi personali particolarmente traumatici o verso cui prova forti sentimenti di vergogna o di rigetto: alla luce delle considerazioni tratte da questi ricercatori gestire queste emozioni usando come strumento una seconda lingua può aiutare a distanziarsi da esse.
Sofia Racco
